Page 20 - Il lavoro dei monaci
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l’organizzazione comunitaria e la carità fraterna debbono, a loro volta, mantenerli. Tuttavia, se anche loro
                  si  mettessero  a  lavorare  manualmente,  il  loro  gesto  gioverebbe  ancora  di  più  alla  religione  perché
                  toglierebbe  ogni  pretesto  di  menare  vita  oziosa  a  quegli  infingardi  che,  entrati  in  monastero  da  una
                  condizione plebea, sono per ciò stesso più assuefatti al lavoro. Se peraltro essi si rifiutassero di lavorare di
                  braccia,  chi  oserebbe  costringerveli?  Comunque  anche  a  loro  si  debbono  trovare  nel  monastero  delle
                  occupazioni  adatte,  che  non  esigano  sforzo  di  muscoli  ma  piuttosto  vigilanza  e  attenzione  nel  loro
                  disbrigo, in modo che nemmeno costoro mangino a ufo il pane con la scusa che si tratta di roba comune.
                  Da  notarsi  che  non  ha  importanza  quale  sia  stato  il  monastero  o  la  località  in  cui  ciascuno  ha  fatto
                  elargizione dei suoi averi a vantaggio dei fratelli bisognosi. Una sola infatti è la famiglia di tutti i cristiani,
                  di modo che, qualunque sia stato il luogo dove uno ha fatto dono del suo ai fratelli in Cristo, dovunque poi
                  vada egli ha da ricevere dai beni di Cristo il necessario alla vita. Difatti, qualunque sia stato il luogo in cui
                  venne fatta l’elargizione, se fu fatta in pro dei fratelli in Cristo, chi se non Cristo fu che la ricevette?
                  Quanto  poi  a  tutta  quell’altra  gente  –  e  sono  i  più  –  che  prima  di  entrare  nella  santa  famiglia  della
                  religione si guadagnavano da vivere lavorando manualmente – la più parte degli uomini infatti lavora così
                  –,  costoro  se  non  vogliono  lavorare  non  debbono  nemmeno  mangiare.  Non  è  infatti  per  fomentare
                  l’orgoglio dei poveri che nella sequela di Cristo i ricchi si abbassano con condiscendente indulgenza. Ed è
                  cosa sommamente sconveniente che in quel genere di vita dove i senatori sanno adattarsi al lavoro gli
                  artigiani  divengano  sfaticati,  e  nelle  case  dove  si  rifugiano  i  padroni  dei  campi  lasciando  i  loro  agi  e
                  comodità, ivi i campagnoli divengano esigenti e schizzinosi.

                  Curare la retta intenzione.
                  26.  34.  Ma  –  continuano  ad  obiettare  –  c’è  anche  un  detto  del  Signore  che  suona:  Non  vi  affannate,
                  riguardo  alla  vostra  vita,  su  che  cosa  mangiare  né,  per  il  vostro  corpo,  con  quali  vesti  coprirlo.
                  Giustissimo! Esso è in relazione con quanto detto in precedenza e cioè: Voi, non potete essere al servizio
                  di Dio e del denaro. Infatti, quando uno si mette a predicare il vangelo con la mira di procurarsi i mezzi
                  per sfamarsi e vestirsi, potrebbe ritenere che lavori nello stesso tempo al servizio di Dio – per il fatto che
                  sta predicando il Vangelo – e insieme del denaro, poiché predica per ricavarne il necessario alla vita. Ora,
                  questa  combinazione  dice  appunto  il  Signore  che  non  è  possibile  effettuarsi.  Ragion  per  cui,  chi
                  annunziasse il Vangelo per conseguire vantaggi materiali lo si deve convincere che non serve Dio ma il
                  denaro, nonostante che Dio sappia servirsi di lui a vantaggio del prossimo in una maniera che l’interessato
                  non conosce. Alla citata massima faceva infatti immediatamente seguito quell’altra: Vi dico pertanto di
                  non mettervi in angustia per quel che avrete da mangiare né per il vestito con cui coprirvi; cioè, non
                  debbono omettere di procurarsi da dove possibile farlo onestamente il necessario alla vita, ma piuttosto
                  non lavorare in vista di tali vantaggi e non essere mossi da queste finalità allorché, come loro ordinato,
                  s’adoperano  a  predicare  il  vangelo.  L’intenzione  con  cui  uno  si  muove  ad  agire,  [Cristo]  la  chiama  “
                  occhio “: di cui parlava poco più sopra quando, prima di passare al nostro testo, diceva:  Lume del tuo
                  corpo è l’occhio. Se l’occhio è sano, tutto il corpo sarà illuminato; se invece l’occhio è guasto, tutto il
                  corpo resterà nel buio. E voleva dire: Le tue azioni saranno tali quale sarà stata la tua intenzione nel
                  compierle. Nel brano precedente a questo, parlando dell’elemosina, aveva poi detto: Non mettete da parte
                  tesori  qui  in  terra.  La ruggine e i tarli verrebbero a logorarveli, e verrebbero i ladri a sfondare e a
                  portarseli via. I vostri tesori, nascondeteli piuttosto nel cielo, dove non ci sono né tarli né ruggine che
                  vengano a consumarli, né ci son ladri che sfondino e rubino. Dove infatti sarà il tuo tesoro, ivi sarà
                  anche il tuo cuore. E poi soggiungeva: Lume del tuo corpo è l’occhio, per indicare come coloro che fanno
                  l’elemosina  non  debbono  farla  con  la  mira  di  rendersi  accetti  agli  uomini  o  perché  del  loro  atto  si
                  ripromettano un compenso qui in terra. Al riguardo, anche l’Apostolo, imponendo a Timoteo l’incarico di
                  ammonire i ricchi, diceva: I ricchi siano larghi nel dare, comunichino i loro beni, mettano da parte un
                  capitale intaccabile, al fine di conseguire la vera vita. Il Signore pertanto si prefigge d’indirizzare verso
                  la vita eterna e la ricompensa del cielo l’occhio di chi fa l’elemosina, in modo che la buona azione che si
                  compie,  compiuta  appunto  con  occhio  non  viziato,  possa  essere  un’azione  luminosa.  Difatti,  anche  a
                  proposito della remunerazione finale vale quello che Cristo dice altrove, e cioè: Chi accoglie voi accoglie
                  me;  e  chi  accoglie  me  accoglie  colui  che  mi  ha  mandato.  Chi  riceve  un  profeta  in  quanto  profeta
                  percepirà  la  ricompensa  degna  di  un  profeta,  e  chi  riceve  un  giusto  in  quanto  giusto  percepirà  una
                  ricompensa degna di un giusto. E chi darà da bere a uno di questi piccoli, fosse anche un solo bicchiere
                  d’acqua fresca, in quanto è uno dei discepoli, costui – ve lo dico in verità – non sarà privato della sua
                  ricompensa.  In  relazione  a  ciò,  per  prevenire  l’inconveniente  che,  raddrizzato  l’occhio  di  coloro  che
                  dànno del proprio per sostentare nelle loro necessità i bisognosi – siano essi profeti o giusti o discepoli del
                  Signore –, non avesse poi a guastarsi l’occhio di coloro che avrebbero fruito di queste elargizioni e non
                  pretendessero  di  servire  Cristo  per  simili  vantaggi,  per  questo  motivo  disse:  Nessuno  può  servire  due





                  Agostino – Il lavoro dei monaci                                            pag. 18 di 23
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