Page 21 - Il lavoro dei monaci
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padroni. E ancora: Non potete servire Dio e il denaro. A cui fa seguito immediatamente: Per la qual cosa
vi dico di non angustiarvi, quanto alla vita, di che cosa mangerete né, per quanto concerne il corpo,
come vi vestirete.
Essere in grado di lavorare è dono di Dio.
26. 35. Le espressioni successive, concernenti gli uccelli dell’aria e i gigli del campo, le aggiunge perché
nessuno pensi che Dio non si prende cura delle necessità dei suoi, mentre al contrario la sua Provvidenza
con saggezza infinita raggiunge anche questi esseri insignificanti, che ha creati e governa. È infatti lui, e
non altri, che dà il cibo e il vestito anche a coloro che se lo procurano con il lavoro delle proprie mani. I
servi di Dio però non debbono, nell’esercizio del loro ministero sacro, pervertire l’ideale propostosi
mirando a questi vantaggi materiali: perciò il Signore avverte di non andare in cerca di cose terrene ma
piuttosto del Regno di Dio e della sua giustizia allorché ci poniamo a servizio del mistero divino della
salvezza. Le provviste materiali ci saranno senz’altro somministrate: sia che noi lavoriamo con le nostre
mani, sia che siamo impediti da salute malferma, sia che siamo talmente occupati nell’esercizio del
ministero da non aver modo di badare ad altro lavoro.
Esigere interventi indebiti è tentarlo.
27. 35.Il Signore aveva detto: Invocami nel giorno della tribolazione; io verrò a salvarti e tu me ne
renderai gloria. A tenore di questa assicurazione, l’Apostolo non sarebbe dovuto fuggire né essere calato
lungo il muro dentro una cesta per sottrarsi al persecutore, ma avrebbe dovuto aspettare che lo
catturassero, perché poi intervenisse il Signore a liberarlo come aveva liberato dalle fiamme i tre fanciulli.
Ma allora, nemmeno il Signore avrebbe dovuto dire: Se in una città vi perseguitano, fuggite in un’altra,
dal momento che aveva assicurato: Qualunque cosa chiederete al Padre in mio nome Egli ve la darà. Se
pertanto, dinanzi al caso di discepoli del Cristo sorpresi a fuggire la persecuzione, uno si fosse fatto avanti
con la domanda perché mai non fossero restati al loro posto e, invocato il nome del Signore, non avessero
atteso d’essere miracolosamente liberati da lui come un giorno Daniele dalla fossa dei leoni o come Pietro
dal carcere, si sarebbe sentito rispondere che non dovevano tentare Dio. A tali misure, se l’avesse ritenuto
opportuno, ci sarebbe ricorso Dio allorché essi non avessero avuto altro espediente a loro disposizione.
Del resto, aver avuto l’opportunità di fuggire e attraverso la fuga riuscire a mettersi in salvo non era altro
se non un intervento di Dio che così veniva a liberarli. Orbene, tutto questo vale anche per i servi di Dio
che, liberi da impegni, si sentono in grado di guadagnarsi il pane con il lavoro delle proprie braccia,
uniformandosi in ciò all’esempio e alle norme dettate dall’Apostolo. Se uno andasse a far loro delle
obiezioni prendendo lo spunto dagli uccelli dell’aria che non seminano, non mietono e non riempiono i
granai o dai gigli del campo che non lavorano né filano, essi non avrebbero gran difficoltà a rispondere in
questa maniera: Se noi per un giusto motivo, ad esempio d’infermità o d’incombenze urgenti, non
potessimo lavorare, certo Egli ci darebbe di che sfamarci e coprirci come fa con gli uccelli e con i gigli
che non esplicano alcuno di tali lavori. Finché al contrario noi siamo in grado di lavorare, non dobbiamo
tentare il nostro Dio. L’avere infatti questa capacità è dono di Dio, e quando viviamo del nostro lavoro,
viviamo del dono che Egli ci largisce, poiché è Dio che ci accorda la possibilità di lavorare. Ed ecco il
motivo per noi perché non ci angustiamo del necessario alla vita. Sappiamo infatti che c’è un Dio il quale,
quando siamo in grado di lavorare, ci nutre e ci veste come il normale degli uomini, che da lui sono nutriti
e vestiti; quando poi non possiamo più lavorare, lo stesso Dio provvede a cibarci e a vestirci come fa con
gli uccelli che nutre e con i gigli che ammanta, delle quali creature noi valiamo di più. In conclusione,
quindi, nel servizio che come soldati prestiamo al Signore non ci preoccupiamo del domani. Ci siamo
infatti consacrati a Dio non per conseguire emolumenti temporali (al tempo infatti dice relazione il “
domani “) ma piuttosto vantaggi eterni (dove è sempre “ oggi “), “ in modo da riuscire persone accette a
Dio senz’essere avviluppati nelle pastoie di faccende secolaresche “.
Richiamo paterno.
28. 36. Stando così le cose, mi permetterai, ottimo fratello (di te infatti si serve il Signore per infondermi
viva fiducia), mi permetterai, dico, di rivolgere direttamente la parola a quegli stessi figli e fratelli nostri
che – ben lo so – tu al pari di me vieni plasmando con grande amore finché non sia formata in essi la vita
interiore che esige l’Apostolo. O servi di Dio e soldati di Cristo, possibile mai che non riusciate a vedere
le arti ingannatrici del nemico infernale, che in tutte le maniere cerca d’annebbiare con le sue esalazioni
pestilenziali il vostro buon nome – un così squisito profumo di Gesù Cristo – allo scopo d’impedire che
anime generose si risolvano a dire: Correremo dietro al profumo del tuoi unguenti e così sfuggano ai lacci
tesi da lui? Tale e non altro è il motivo per cui egli sparse un po’ dovunque tanta gente ipocrita ricoperta
Agostino – Il lavoro dei monaci pag. 19 di 23