Page 22 - Il lavoro dei monaci
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del saio monacale: gente che gironzola per le province senza che si sappia chi li abbia mandati, gente in
                  perpetuo movimento, mai fermi, mai stabili. E ce ne sono di quelli che fanno commercio con le reliquie
                  dei martiri (seppure sono dei martiri!); altri che vanno decantando i pregi delle loro fimbrie e filatteri; altri
                  ancora che si ricordano d’aver sentito dire che in quella o in quell’altra parte del mondo vivono ancora i
                  loro genitori o certi altri parenti e bugiardamente asseriscono che sono in viaggio per andarli a trovare. E
                  tutti chiedono, tutti pretendono: incassi d’una mendicità redditizia, prezzo d’una santità simulata. Che se
                  poi vengono sorpresi in qualcuna delle loro malefatte o comunque se ne spande la diceria, sotto il nome
                  generico di monaci viene ad essere screditato lo stato religioso che voi professate: istituzione invece tanto
                  buona e santa che desidereremmo fosse diffusa in tutta l’Africa come lo è in altre regioni. Come dunque
                  non accendervi di zelo per il Signore? Come non brucia dentro di voi il vostro cuore e come, al ripensarci,
                  non vi si accende un fuoco, in modo da impedire con le opere buone le azioni indegne di costoro e così
                  togliere ad essi ogni pretesto per il loro sconcio mercanteggiare, da cui deriva a voi una menomazione di
                  stima  e  ai  deboli  un  motivo  di  scandalo?  Siate  dunque  animati  da  sentimenti  di  comprensione  e  da
                  propositi di carità: mostrate al mondo che entrando nella quiete del monastero non siete andati a cercarvi
                  un  modo  facile  di  tirare  avanti  la  vita,  ma  avete  ricercato  il  regno  di  Dio  attraverso  la  via  stretta  e
                  difficoltosa  propria  di  questa istituzione. Il motivo di lavorare che si presenta a voi  è  lo stesso che si
                  presentava all’apostolo Paolo: togliere i pretesti a chi di pretesti va a caccia, in tal modo quanti stan lì lì
                  per  essere  asfissiati  dal  lezzo  che  emana  da  loro  si  sentano  rinvigoriti  al  profumo  della  vostra  buona
                  condotta.

                  Le responsabilità dell’Episcopato son più gravose che non il lavoro manuale.
                  29. 37. Non è nostra intenzione sospendervi al collo pesi gravi e caricarvi le spalle con fardelli che noi
                  ricusiamo  di  toccare  col  dito.  Fate  pure  le  vostre  ricerche,  e  vi  renderete  conto  del  logorio  cui  ci
                  sottopongono le nostre occupazioni, congiunte in qualcuno di noi con una malferma salute fisica. Sapete
                  le  costumanze  in  uso  presso  le  chiese  di  cui  stiamo  al  servizio  e  come  siano  tali  da  non  consentirci
                  d’attendere a quelle occupazioni che vi inculchiamo. Vi potremmo senz’altro ripetere:  Chi va a fare il
                  soldato a proprie spese? Chi coltiva una vigna e non si nutre dei suoi prodotti? Chi mena a pascolo un
                  gregge e non ne prende il latte? Eppure io – e di questo posso prendere a testimone contro di me nostro
                  Signore Gesù Cristo, in nome del quale senza esitazioni vi dico queste cose –, a volermi regolare secondo
                  quello che tornerebbe più comodo a me personalmente, preferirei di gran lunga dedicarmi ogni giorno ad
                  ore determinate – come si trova prescritto in certi monasteri ove vige la disciplina – ad un po’ di lavoro
                  manuale e poi aver libere le altre ore per leggere, pregare o comunque occuparmi delle sacre Scritture
                  anziché cacciarmi in mezzo alla baraonda e alle angustie delle altrui contese, ove si tratta di risolvere con
                  una sentenza intrighi d’affari o farli cessare con un intervento di autorità. Sono, queste, delle noie a cui ci
                  volle dediti l’Apostolo, non per iniziativa sua personale, ma per incarico di colui che parlava per la sua
                  bocca: noie delle quali non troviamo scritto che egli abbia voluto gravarsi. Del resto, il suo apostolato,
                  con il continuo mutare dei luoghi, si svolgeva in maniera diversa. Per cui egli non diceva: Se avete dei
                  contrasti per affari materiali, “ riferitene a noi “, ovvero: “ costituite noi arbitri e giudici delle vostre
                  contese “, ma: Investitene quelli che sono meno apprezzati nella Chiesa. Continuando poi: Ve lo dico per
                  farvi arrossire: possibile che fra voi non ci sia nemmeno uno dotato di sapienza e quindi capace di fare
                  da giudice tra fratelli? Ma il fratello intenta lite al fratello, e ciò dinanzi agli infedeli. Voleva dunque
                  l’Apostolo che tra i fedeli e i santi delle varie Chiese certe persone più sagge, residenti sempre nello stesso
                  luogo e non costrette a peregrinare da un luogo all’altro per predicare il vangelo, facessero da arbitri in
                  materia di affari. Di modo che, sebbene mai leggiamo scritto che Paolo abbia atteso a questo genere di
                  attività,  tuttavia  noi  non  possiamo  esimercene,  per  quanto  siamo  gente  insignificante.  Difatti,  son  tali
                  persone che l’Apostolo voleva fossero incaricate, in mancanza di persone dotate di saggezza, ma mai che
                  gli  affari  dei  cristiani  fossero  deferiti  al  pubblico  tribunale.  La  fatica  di  questo  incarico  ce  la  siamo
                  accollata – non senza consolazioni divine del resto – in vista della vita eterna che speriamo e per poter
                  produrre qualche frutto di bene con l’esercizio della pazienza. Siamo infatti al servizio della Chiesa del
                  Signore e segnatamente delle sue membra più fragili, quale che sia il nostro valore di membro rispetto
                  all’intero corpo. Né voglio parlarvi delle altre innumerevoli preoccupazioni per la Chiesa che gravano su
                  di noi. Solo chi ne ha fatto l’esperienza potrebbe prestar fede alle mie parole. Comunque, non è vero che
                  noi imbastiamo some pesanti e le carichiamo sulle vostre spalle, mentre noi rifuggiamo dal toccarle col
                  dito.  Se  ci  fosse  consentito,  salve  sempre  le  esigenze  del  nostro  ufficio,  noi  preferiremmo  senz’altro
                  dedicarci ai lavori che vi esortiamo a compiere (lo sa colui che scruta il nostro cuore!), anziché a tutti gli
                  altri che siamo obbligati a intraprendere. Poiché per tutti, e per noi e per voi, quando andiamo ad espletare
                  quelle  mansioni  che  a  ciascuno  impongono  e  la  sua  condizione  e  l’ufficio  che  ha  ricevuto,  la  via  è
                  scabrosa e piena di fatiche e d’affanni. Ma nello stesso tempo se ci anima il gaudio dell’eterna speranza,





                  Agostino – Il lavoro dei monaci                                            pag. 20 di 23
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