Page 23 - Il lavoro dei monaci
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amabile è il giogo e leggero il peso di colui che ci ha chiamati al riposo, colui che prima di noi traversò la
valle del pianto, nella quale neppure a lui furono risparmiate tribolazioni. Se pertanto ci siete fratelli e
figli, se siamo gli uni e gli altri servi di Cristo, se – più esattamente – noi siamo in Cristo al vostro
servizio, date ascolto ai nostri inviti, chinate il capo ai nostri precetti, accogliete le nostre disposizioni.
Che se anche fossimo dei farisei, che accatastiamo pesi insopportabili e li carichiamo sulle vostre spalle,
pur non approvando il nostro agire, state ugualmente alle nostre prescrizioni. Quanto a noi, poi, è una cosa
da nulla il giudizio che date sul conto nostro tanto voi quanto qualsiasi altro tribunale umano. La cura che
abbiamo di voi e com’essa provenga da fraterno amore son cose che conosce colui che ci ha fatto dono di
quanto siamo in grado di presentargli allo sguardo. E poi, alla fine delle fini, giudicateci come vi pare. Chi
vi dà questi ordini è l’apostolo Paolo. È lui che in nome di Dio vi scongiura a procurarvi il pane che
mangiate lavorando in silenzio, vale a dire senza tumulti e disciplinati nell’obbedienza. Di lui – penso –
non avrete a sospettar male: siete infatti persone che hanno fede in colui che vi parla per bocca
dell’Apostolo.
Invito a non turbare la disciplina ecclesiastica. E a non parteggiare per gli indisciplinati.
30. 38. Son queste le cose che a proposito del lavoro dei monaci mi sono affrettato a scriverti, o mio
carissimo fratello Aurelio, a cui va nel cuore di Cristo ogni mio rispetto. Te ne ho scritto, nel modo e nella
misura che mi ha donato colui che per tuo mezzo m’aveva dato l’incarico di scriverne. Nella mia
esposizione ho avuto di mira soprattutto che i buoni religiosi nell’eseguire quanto prescritto dall’Apostolo
non avessero ad essere presi per contravventori delle norme del vangelo da coloro che son pigri e
indisciplinati. In tal modo, quanti si rifiutano di lavorare non potranno almeno avanzare dubbi sul fatto
che quelli che lavorano sono migliori di loro. Veramente, chi potrebbe tollerare che uomini cocciutamente
ribelli i quali resistono agli ordini più che salutari impartiti dall’Apostolo abbiano ad essere non già
sopportati pazientemente come membra malate ma elogiati come più progrediti in santità? Come si
potrebbe ammettere che monasteri fondati sulla più sana dottrina abbiano ad essere fuorviati dalla duplice
attrattiva, di potersi cioè abbandonare all’ozio con ogni libertà e di potersi far belli con una santità
contraffatta? Pertanto, anche quegli altri fra i nostri fratelli e figli che inconsciamente han preso
l’abitudine d’appoggiare costoro e di patrocinare la causa della loro arrogante condotta sappiano che
tocca a loro in primo luogo ravvedersi e mutare condotta, allo scopo di far ravvedere i traviati, non già
perché loro riducano le opere buone che fanno. È ovvio infatti che riguardo alla prontezza e allo zelo con
cui forniscono il necessario ai servi di Dio, noi non solo non li rimproveriamo ma anzi ce ne
congratuliamo con vivo compiacimento. Stiano però in guardia affinché una malintesa compassione non
abbia per l’avvenire a recar loro maggior danno di quanto non sia il vantaggio conseguito sul primo
momento.
30. 39. Si commettono infatti meno peccati se con approvazioni non si dà spago al perverso perché segua
le inclinazioni del suo cuore e se non si elogia colui che commette azioni inique.
Contro certi capelloni e i loro insulsi raziocini.
31. 39. Ma può esserci perversione più grande che voler essere obbediti dagli inferiori e poi rifiutarsi
d’obbedire ai superiori? “ Superiore “ dico qui l’Apostolo, non me stesso, e mi riferisco a quei tali che si
lasciano crescere un’abbondante capigliatura. Questione, questa, sulla quale l’Apostolo non permetteva
che si discutesse per niente dicendo: Se qualcuno vuol attaccar brighe, noi tale costumanza non
l’abbiamo, e non l’ha nemmeno la Chiesa di Dio; ed eccovi ora i miei ordini. Non vuole che si ricerchi
l’abilità di uno che espone, ma che si rispetti l’autorità di uno che comanda. E, di grazia, quali sarebbero
mai le ragioni per lasciarsi crescere i capelli a dispetto d’un ordine tanto esplicito dell’Apostolo? Che
forse l’ozio deve spingersi al punto da impedire che anche i barbieri lavorino? Ovvero –dato che si
propongono d’imitare gli uccelli del vangelo – temono forse di non poter più volare come gli uccelli, una
volta che si siano rasati la testa? Contro questo vizio mi astengo dal dire di più per un riguardo verso certi
religiosi che, pur lasciandosi lunghi i capelli, a parte questa scempiaggine, offrono tanti e tanti motivi per
cui li veneriamo. Anche a loro, peraltro, vada la nostra parola ammonitrice: la rivolgiamo ad essi con
tanto maggiore preoccupazione quanto più grande è l’amore che in Cristo loro portiamo. Né abbiamo
paura che la loro umiltà respinga il nostro ammonimento. Anche noi infatti desidereremmo ricevere
ammonimenti da tali persone allorché ci capitasse di trovarci nell’incertezza o nell’errore. Orbene, a
questi uomini così avanti nella virtù noi rivolgiamo l’invito a non lasciarsi fuorviare dagli stupidi pretesti
addotti dai vanitosi e a non volersi rassomigliare a costoro in tale aberrazione, dal momento che nel resto
della loro condotta son così diversi. C’è infatti gente che va in giro mascherandosi ipocritamente a scopo
di lucro e teme che una santità senza chioma faccia meno colpo di quella che ne è ricoperta. Allo sguardo
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