Page 17 - Il lavoro dei monaci
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22. 26. Capita ad essi quel che l’Apostolo dice doversi evitare nei confronti di certe vedove ancor giovani
e piuttosto sbandate. Imparano – dice – ad essere oziose, e non soltanto oziose ma anche curiose e
loquaci, e chiacchierano anche di cose che non bisogna dire. Quanto egli lamentava a proposito di donne
perverse noi lo riscontriamo con tristezza e rammarico anche in certi uomini ugualmente perversi: uomini
che, vagabondi e chiacchieroni, non han ritegno di proferire cose inesatte verso colui che nelle sue
epistole ci fa leggere le sopra citate norme. Capita inoltre che nelle file di costoro si trovino taluni venuti
nella famiglia religiosa col proposito di rendersi accetti agli occhi di colui al quale si sono votati, uomini
che, sentendosi in pieno vigore di forze e in buona salute, potrebbero dedicarsi non solamente a sentire
delle istruzioni ma anche al lavoro manuale ordinato dall’Apostolo. Orbene, quando giungono
all’orecchio di costoro i ragionamenti vacui e perversi dei propri compagni, siccome a causa della loro
inesperienza non sono in grado di formarsi un giudizio esatto sul loro conto, ecco che anch’essi si lasciano
contagiare dalla peste dell’esempio degli altri e si guastano. Non solo non si curano d’imitare la docilità
dei confratelli fervorosi che tranquilli attendono al loro lavoro ma, al contrario, si fan beffe dei più
osservanti, elogiano l’oziosità come fedeltà al vangelo e accusano come trasgressione del vangelo la
condiscendenza dei docili. Si comporta infatti con più carità verso le anime dei fratelli più deboli colui
che fa di tutto per tenere alto il prestigio dei servi di Dio di quanto non faccia verso i corpi colui che si
prodiga nel distribuire il pane agli affamati. Per la qual cosa, quanti non se la sentono di lavorare con le
mani almeno cessino del tutto dal lavorare con la lingua! Non riuscirebbero certo ad attirare tanti altri
nella loro strada se offrissero, sì, esempi di pigrizia ma non gonfiati a parole.
Incoerenze colossali fra quello che dicono e quello che fanno.
23. 27. Di più: contro l’insegnamento d’un apostolo di Cristo costoro tiran fuori il vangelo di Cristo. Sono
infatti così speciali gli accorgimenti della gente svogliata che si lusingano venga proibito dal vangelo quel
che l’Apostolo ordinava e metteva in pratica perché il vangelo non avesse impedimenti. Che se poi per
caso in forza delle parole stesse del vangelo vogliamo obbligarli a vivere sul serio in conformità con la
loro interpretazione, essi saranno i primi a venirci a dimostrare che tali massime non debbono essere
intese così come essi le intendono. Dicono, è vero, che non sono obbligati a lavorare perché nemmeno gli
uccelli dell’aria seminano e mietono: quegli uccelli da cui il Signore trasse l’immagine per escludere la
preoccupazione per i nostri bisogni materiali. Ma, allora, perché non badare anche a quello che viene
appresso, poiché il Signore non dice solo che non seminano né mietono ma anche che non raccolgono nei
magazzini. Per “ magazzini “ possiamo intendere o i granai o, proprio a paroletta, i depositi. Come mai,
dico, questi tali che si tengon le mani in mano pretendono poi d’avere piene le dispense? Perché andar a
prendere dagli altri il frutto del lavoro e riporlo nelle dispense e conservarlo per trarne l’occorrente di
ogni giorno? Perché non rifuggire dal lavoro di molitura e di cottura? Attività che certo gli uccelli non
compiono! Che se riescono a trovare delle persone e a persuaderle che ogni giorno vengano a recar loro
cibi bell’e confezionati, l’acqua tuttavia, se vogliono averne una riserva, debbono certamente o andare ad
attingerla alla fontana, ovvero tirarla fuori dalla cisterna o dal pozzo. Opere anche queste che gli uccelli
non compiono! Diamo anche il caso, se così piace, che ci siano fedeli così buoni che, da brava gente di
provincia affezionata al Re eterno, si prendano tanta cura di questi soldati, invero coraggiosi, di Dio e
vadano a prestare ad essi ogni sorta di servizi sì che non resti loro nemmeno d’andare a prendere l’acqua.
Dovrebbero però questi aver superato, in un’insolita graduatoria di santità, quei cristiani che erano a
Gerusalemme. Difatti, a costoro, quando sopraggiunse la carestia che era stata predetta dai profeti di
quell’epoca, furono i buoni fratelli di Grecia che inviarono delle granaglie, da cui poi essi stessi – così
penso – si cossero il pane o quanto meno, s’industriarono di farselo cuocere. Attività anche queste che gli
uccelli non compiono! Che se poi – come cominciavo a dire – costoro si credono d’aver oltrepassato di
qualche grado anche la perfezione di quei santi e vogliono comportarsi esattamente come gli uccelli in
tutto ciò che riguarda il mantenimento della vita presente, vengano allora a portarci esempi di uomini
intenti a prestare servigi agli uccelli come costoro pretendono di essere serviti. (Escludendo sempre il caso
degli uccelli acchiappati e rinchiusi in gabbia, dei quali ci si fida punto o poco che, una volta scappati,
abbiano a ritornare!...). Sta di fatto però che gli uccelli ci tengono tanto alla loro libertà che preferiscono
cercare nei campi quanto loro occorre per vivere anziché ricevere quel che loro preparano e recano gli
uomini.
Il buonsenso li condanna.
23. 28. Sotto questo aspetto i nostri li supererebbero in un nuovo e più eminente grado di santità:
sarebbero cioè riusciti a spandersi ogni giorno nei campi in cerca di cibo, beccare quel che a seconda dei
tempi vi trovano e poi, quando son sazi, tornare a casa. Come ci andrebbe bene se il Signore, volendo
Agostino – Il lavoro dei monaci pag. 15 di 23