Page 4 - Il lavoro dei monaci
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lavorare non deve nemmeno mangiare. In tal modo, questi monaci si lusingano di stare in regola con gli
insegnamenti del vangelo e con quelli dell’Apostolo: col vangelo, in quanto intende dare precetti sul non
preoccuparsi per la vita presente con le sue necessità d’ordine fisico e temporale; con l’Apostolo, in
quanto le parole: Chi non vuol lavorare non deve nemmeno mangiare si riferiscono al cibo e al lavoro
d’ordine spirituale.
Il linguaggio proprio nel Vangelo e in san Paolo.
2. 3. Sono degli sbadati. E qualcuno potrebbe loro obiettare come non considerino che è il Signore – il
quale parla in parabole e similitudini – colui che ci dà insegnamenti sul vitto e le vesti spirituali di cui non
debbono preoccuparsi i suoi servi, come ad esempio là dove dice: Quando vi porteranno in tribunale, non
datevi pensiero di quel che avrete a rispondere, poiché il vostro dire vi sarà suggerito. Non sarete infatti
voi a parlare ma lo Spirito del Padre vostro parlerà in voi. Sono quindi le parole di sapienza spirituale
quelle di cui il Signore non vuole che si preoccupino i suoi discepoli, assicurandoli che sarebbero state
loro fornite senza che essi ne fossero in angustia. Che al contrario l’Apostolo parli del lavoro manuale e
del cibo necessario alla vita del corpo allorché dice: Chi non vuol lavorare non deve nemmeno mangiare,
lo dimostra il fatto che egli, secondo la sua indole, ama esprimersi con un linguaggio franco e aperto e
preferisce il parlare proprio a quello traslato, come si ricava da molti passi, per non dire da tutto intero il
suo epistolario. In tale ipotesi, la loro conclusione verrebbe a rendersi dubbia, a meno che essi,
esaminando altre massime del Signore, non giungessero a scoprire qualche brano da cui appaia con
evidenza che egli con le parole: Non preoccupatevi del cibo né della bevanda o del vestiario voleva
proprio inculcare ai discepoli di non affannarsi per il vitto e il vestito necessari al corpo, ad esempio,
sottolineando quello che aggiunge: Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani, da cui traspare più che
sufficientemente che egli parlava proprio dei beni corporali e temporali. In modo analogo, se in tema di
lavoro e di sostentamento l’Apostolo non avesse detto altro se non: Chi non vuol lavorare non deve
nemmeno mangiare, alle sue parole si sarebbe potuto, forse, dare un qualche altro significato. Quando
però nelle sue lettere esistono innumerevoli altri passi nei quali egli esprime in termini inequivocabili il
suo pensiero sul nostro argomento, è inutile fare sforzi in contrario. Sarebbe come un voler tirare su di sé
e sugli altri una cortina di tenebre per non voler praticare quanto di utile la carità divina suggerisce e,
inoltre, negarsi la possibilità di vederci chiaro loro stessi e che ci abbiano a veder chiaro gli altri. Nel qual
caso, occorrerebbe temere il detto scritturale: Non ebbe voglia di capire per comportarsi bene.
Schema della trattazione: a) le parole di Paolo nel loro contesto; b) gli esempi dell’Apostolo.
3. 4. Cominceremo pertanto col dimostrare che il beato apostolo Paolo esige dai servi di Dio che si
esercitino nel lavoro manuale. Questo consegue come fine una grande ricompensa spirituale e reca anche
il vantaggio di non dover dipendere da alcuno in fatto di vitto e di vesti, se appunto tali cose vengono
ottenute mediante la propria attività. Dopo di ciò, prenderemo in esame i brani del vangelo dai quali
certuni pretendono di ricavare argomenti a sostegno della propria indolenza e arroganza, e mostreremo
che essi non sono contrari a quanto insegnato e praticato dall’Apostolo. Vediamo dunque cosa dica
l’Apostolo prima di arrivare alle parole: Chi non vuol lavorare non deve nemmeno mangiare e che cosa
aggiunge subito appresso: dal contesto risulterà messo in luce il senso della frase. Egli dice: Fratelli, noi
vi ordiniamo in nome di Gesù Cristo nostro Signore a tenervi lontani da ogni fratello che si comporta da
turbolento e non conforme alla tradizione ricevuta da noi. Voi sapete infatti in che modo dobbiate
imitarci. Non ci siamo diportati fra voi da agitatori, e così pure non abbiamo mangiato il nostro pane
fornitoci gratuitamente da alcuno. Al contrario abbiamo lavorato di notte e di giorno in mezzo a stenti e
fatiche pur di non essere di peso per nessuno di voi. Non che non ne avessimo la facoltà, ma perché vi
volevamo presentare noi stessi come modello che avreste dovuto imitare. Ed era proprio quando stavamo
da voi che vi impartivamo quest’ordine: Chi non vuol lavorare non deve nemmeno mangiare. Abbiamo
infatti sentito dire che in mezzo a voi c’è della gente che si comporta da turbolenta, che si rifiuta di
lavorare e che si occupa solo di curiosità. Orbene, a costoro noi comandiamo e nel nome del Signore
Gesù Cristo rivolgiamo l’invito accorato affinché si mettano a lavorare in silenzio e in tal modo mangino
il pane da loro guadagnato. Cosa si può obiettare al senso naturale di queste parole? Proprio perché
nessuno si arrogasse il diritto di interpretarle a suo capriccio, e non conforme esige la carità, l’Apostolo
s’è fatto premura di illustrare col suo esempio il senso della sua prescrizione. A lui infatti, per la sua
condizione di apostolo, predicatore del vangelo, soldato di Cristo, incaricato di piantare la vigna e di
pascere il suo gregge, il Signore aveva dato facoltà di vivere a carico del vangelo. Egli tuttavia ricusò il
compenso che pure gli sarebbe spettato, e ciò al fine di presentare in se stesso un modello a coloro che
pretendevano compensi indebiti. Lo dice nella lettera ai Corinzi: Chi si mette a fare il soldato senza che
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