Page 9 - Il combattimento spirituale
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CAPITOLO VII

                                                       L’esercizio.
                 E in primo luogo l’esercizio dell’intelletto, che va guardato dall’ignoranza e dalla curiosità

            Se la diffidenza di noi e la confidenza in Dio tanto necessarie in questa battaglia saranno sole, non
            solamente non avremo vittoria su noi stessi, ma precipiteremo in molti mali. Perciò, oltre a queste,
            ci  è  necessario  l’esercizio,  che  è  la  terza  cosa  proposta  sopra.  Questo  esercizio  si  deve  fare
            principalmente con l’intelletto e con la volontà. Quanto all’intelletto deve essere da noi guardato da
            due cose che sogliono combatterlo.
            L’una  è  l’ignoranza,  che  lo  oscura  e  gli  impedisce  la  conoscenza  del  vero,  che  è  il  suo  oggetto
            proprio. Perciò con l’esercizio lo si deve rendere lucido e chiaro, perché possa vedere e discernere
            bene quanto ci è necessario per purificare l’anima dalle passioni disordinate e ornarla delle sante
            virtù. Questo lume in due modi si può ottenere.
            Il primo e più importante è l’orazione, pregando lo Spirito Santo che si degni infonderlo nei nostri
            cuori. Questo lo farà sempre, se in verità cercheremo Dio solo; se cercheremo di fare la sua santa
            volontà e se sottoporremo ogni cosa insieme al nostro giudizio alla decisione del padre spirituale.
            L’altro modo è un continuo esercizio di profonda e leale considerazione delle cose per vedere come
            siano,  se  buone  o  cattive:  e  ciò  secondo  come  insegna  lo  Spirito  Santo  e  non  come  appaiono
            all’esterno, si rappresentano ai sensi e giudica il mondo.
            Questa considerazione, fatta come si conviene, ci fa chiaramente conoscere che si debbono avere
            per nulla, per vanità e bugia tutte quelle cose che il cieco e corrotto mondo ama e desidera, e che
            con vari modi e mezzi si va procurando; che gli onori e i piaceri terreni non sono altro che vanità e
            afflizione  di  spirito;  che  le  ingiurie  e  le  infamie,  che  il  mondo  ci  dà,  portano  vera  gloria  e  le
            tribolazioni quiete; che perdonare i nemici e fare loro del bene è magnanimità e una delle maggiori
            somiglianze con Dio; che vale più il disprezzo del mondo che l’esserne padrone;  che l’obbedire
            volentieri per amore di Dio alle più vili creature è cosa più magnanima e generosa del comandare ai
            grandi prìncipi; che l’umile conoscenza di noi stessi si deve apprezzare più dell’altezza di tutte le
            scienze; che il vincere e mortificare i propri appetiti, per piccoli che siano, merita maggior lode che
            l’espugnare molte città (cfr. Pro 16,32), superare potenti eserciti con le armi in mano, fare miracoli e
            risuscitare i morti.

                                                    CAPITOLO VIII

                                   Le cause per cui non discerniamo rettamente le cose.
                                      Il metodo che si deve usare per conoscerle bene

            La causa per cui non discerniamo rettamente tutte le cose suddette insieme a molte altre è che al
            primo loro apparire vi attacchiamo o l’amore o l’odio. Da questi oscurato, l’intelletto non le giudica
            con rettitudine per quelle che sono.
            Tu, perché in te non trovi luogo questo inganno, sii accorta nel tenere sempre quanto più puoi la tua
            volontà purificata e libera dall’affetto disordinato a qualunque cosa. E quando ti viene posto innanzi
            qualunque oggetto, osservalo bene con l’intelletto e consideralo con maturità prima che da odio, se
            si tratta di cosa contraria alle nostre naturali inclinazioni, o da amore, se ti apporta diletto, tu sia
            mossa a volerlo oppure a rifiutarlo. Perché allora l’intelletto, non essendo ingombrato da passione, è
            libero  e  chiaro;  può  conoscere  il  vero  e  penetrare  dentro  al  male,  che  è  nascosto  sotto  il  falso
            piacere, e al bene coperto dall’apparenza del male.
            Ma se la volontà si è prima inclinata ad amare la cosa o l’ha presa in aborrimento, l’intelletto non la
            può ben conoscere, perché quell’affetto, che si è interposto, lo offusca in modo da fargliela stimare
            diversamente  da  quella  che  è,  e  per  tale  rappresentandola  alla  volontà,  essa  si  muove  più
            ardentemente di prima ad amarla oppure a odiarla contro ogni ordine e legge di ragione. Da tale
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