Page 14 - Il Maestro
P. 14

doveva  appunto  intendere  che  si  chiama  virtù  ciò  che  era  in  lui.  Non
                  dobbiamo cioè pensare che in lui fossero le due sillabe che si proferiscono
                  nel dire virtù, anziché ciò che è significato dalle due sillabe.
Ad. - Capisco
                  pienamente.
Ag.  -  E  capisci  anche  che  è  indifferente  dire  " si  chiama
                  virtù "  o  " si  denomina  virtù ".
Ad.  -  È  chiaro.
Ag.  -  Dunque  è  chiaro
                  anche che è indifferente dire " si chiama il sì ", ovvero " si denomina il si
                  ciò che era in lui ".
Ad. - Anche qui non veggo differenza.
Ag. - Afferri
                  anche  il  concetto  che  intendo  evidenziare?
Ad.  -  Questo  non  ancora  in
                  verità.
Ag. - Ma davvero non vedi che il nome è ciò che una determinata

                  cosa  si  denomina?
Ad.  -  Ma  non  conosco  concetto  più  evidente  di
                  questo.
Ag. - Allora vedi anche che il sì è nome perché ciò che era in lui si
                  denomina il sì.
Ad. - Non lo posso negare.
Ag. - Ma se io ti chiedessi a
                  quale parte del discorso appartiene il sì, mi risponderesti, suppongo, che
                  non  è  nome  ma  avverbio,  sebbene  la  dimostrazione  ha  concluso  che  è
                  anche nome.
Ad. - È proprio come tu dici.
Ag. - E adesso dubiti ancora
                  che, nel senso della dimostrazione, anche le altre parti del discorso sono
                  nomi?
Ad.  -  Non  ne  dubito  perché  devo  ammettere  che  significano
                  qualche  cosa.  Ma  se  mi  chiedi  come  si  chiamano,  ossia  si  nominano,  i
                  concetti che esse significano, sono costretto a rispondere che sono le varie
                  parti  del  discorso  che  non  si  chiamano  nomi,  ma  che,  come  vedo,  si  è
                  costretti per logica a considerar tali.


                  Parallelo con la lingua greca.



                  5.  15.  Ag.  -  E  non  ti  turba  che  si  possa  levare  qualcuno  a  demolire  la
                  nostra  dimostrazione  obiettando  che  agli  Apostoli  si  deve  riconoscere
                  l'autorità  nella  dottrina  ma  non  nella  grammatica?  Certo  che  il
                  fondamento  della  nostra  dimostrazione  non  sarebbe  cosi  stabile  come
                  abbiamo  supposto.  Sarebbe  appunto  possibile  che,  quantunque
                  l'Apostolo  sia  vissuto  e  abbia  insegnato  molto  bene,  meno  bene  abbia
                  parlato  nel  dire:  " In  lui  era  il  sì ",  tanto  più  che  egli  stesso  afferma  di
                  essere inabile nel parlare 9. Come pensi di ribattere un tale obiettore?
Ad.
                  - Non saprei come ribatterlo. Ti prego quindi di trovare qualcuno degli
                  studiosi,  cui  si  riconosce  grande  erudizione  grammaticale.  Con  la  sua
                  autorità conseguirai più facilmente il tuo intento.
Ag. - Dunque, secondo
                  te,  la  ragione,  è  meno  idonea  senza  il  ricorso  a  testi  autorevoli,  a
                  dimostrare che in tutte le parti del discorso si ha un significato e che da
                  esso  si  designano  e  se  si  designano,  anche  si  denominano  e  che,  se  si
                  denominano, si denominano dal nome. Se ne ha un criterio nelle diverse
                  lingue. Tutti possono osservare che se si chiede come i greci denominano
   9   10   11   12   13   14   15   16   17   18   19