Page 95 - Confessioni
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misericordiosamente, a volte senza farmi soffrire, per esservi caduto solo con la punta del piede, a volte
con dolore, per esservi ormai del tutto impigliato.
B) La vana curiosità
35. 54. S’aggiunge un’altra forma di tentazione, pericolosa per molteplici ragioni. Esiste infatti
nell’anima, oltre la concupiscenza della carne, che risiede nella soddisfazione voluttuosa di tutti i sensi,
cui si asserviscono rovinosamente quanti si allontanano da te, una diversa bramosia, che si trasmette per i
medesimi sensi del corpo, ma tende, anziché al compiacimento della carne, all’esperienza mediante la
carne. È la curiosità vana, ammantata del nome di cognizione e di scienza. Risiedendo nel desiderio di
conoscere, ed essendo gli occhi, fra i sensi, lo strumento principe della conoscenza, l’oracolo divino la
chiamò concupiscenza degli occhi. La vista infatti appartiene propriamente agli occhi, ma noi parliamo di
vista anche per gli altri sensi, quando li usiamo per conoscere. Non diciamo: “Ascolta quanto luccica”,
oppure: “Odora come brilla”, oppure: “Assapora come splende”, oppure: “Tocca come rifulge”; in tutti
questi casi si dice sempre: “Vedi”. Non solo diciamo: “Vedi quanto riluce”, per le sensazioni cioè che gli
occhi soli possono avere; ma anche: “Vedi che suono, vedi che odore, vedi che sapore, vedi che ruvido”.
Perciò qualunque esperienza sensoriale viene chiamata, come dissi, concupiscenza degli occhi, perché
l’ufficio di vedere, prerogativa degli occhi, viene usurpato anche dagli altri sensi per analogia, quando
esplorano un oggetto per conoscerlo.
35. 55. Ora si può distinguere più chiaramente quale sia la parte del piacere, e quale quella della curiosità
nell’azione dei sensi. Il piacere cerca la bellezza, l’armonia, la fragranza, il sapore, la levigatezza; la
curiosità invece ricerca anche sensazioni opposte a queste, per saggiarle; non per affrontare un fastidio,
ma per la bramosia di sperimentare e conoscere. Cos’ha di piacevole la visione di un cadavere dilaniato,
che ti fa inorridire? Eppure, non appena se ne trova uno in terra, tutti accorrono ad affliggersi, a
impallidire, e temono addirittura di rivederlo in sogno, quasi fossero costretti a vederlo da svegli, o
fossero indotti dalla promessa di uno spettacolo ameno. La stessa cosa accade per gli altri sensi, ma
sarebbe lunga la rassegna. Da questa perversione della curiosità derivano le esibizioni di ogni stravaganza
negli spettacoli, le sortite per esplorare i segreti della natura fuori di noi, la cui conoscenza è per nulla
utile, e in cui gli uomini cercano null’altro che il conoscere; e ancora le indagini per mezzo delle arti
magiche, col medesimo fine di una scienza perversa; e ancora, nella stessa religione, l’atto di tentare Dio,
quando gli si chiedono segni e prodigi, desiderati non per trarne qualche beneficio, ma soltanto per farne
esperienza.
35. 56. In questa foresta tanto immensa, disseminata di insidie e pericoli, ecco, ho potuto sfrondare e
spogliare molto il mio cuore: quanto tu, Dio della mia salvezza, mi hai dato di fare. Eppure quando oserei
dire, fra i richiami fragorosi di tante sollecitazioni di questo genere, che assediano da ogni parte la nostra
esistenza quotidiana, quando oserei dire che nessuna trattiene su di sé il mio sguardo e assorbe la mia vana
curiosità? Certo non mi attirano più i teatri né mi curo di conoscere i passaggi degli astri, e mai l’anima
mia ha cercato di conoscere i responsi delle ombre; detesto qualsiasi rito sacrilego. Ma quante
macchinazioni non compie il nemico per suggestionarmi e spingermi a chiederti, Signore Dio mio, che
devo servire in umiltà e semplicità, qualche segno! Ti supplico per il nostro Re, per la nostra semplice,
pura patria, Gerusalemme, che il consenso a queste sollecitazioni, come è lontano da me oggi, così lo sia
sempre, sempre più. Quando invece ti prego per la salute degli altri, il fine che mi propongo è ben diverso;
perciò mi concedi e mi concederai di assecondare volentieri la tua opera, qualunque sia.
35. 57. Eppure chi può enumerare le moltissime miserie risibili che tentano ogni giorno la nostra curiosità,
e le molte volte che cadiamo? Quanto spesso, partiti col tollerare un racconto futile per non offendere la
debolezza altrui, a poco a poco vi tendiamo gradevolmente l’orecchio! Se non assisto più alle corse dei
cani dietro la lepre nel circo, però in campagna, se vi passo per caso, mi distoglie forse anche da qualche
riflessione grave e mi attira quella caccia; non mi costringe a deviare il corpo della mia cavalcatura, ma
l’inclinazione del mio cuore sì; e se tu non mi ammonissi tosto con la mia già provata debolezza a
staccarmi da quello spettacolo per elevarmi a te con altri pensieri, o a passare oltre sprezzantemente, resto
là come un ebete vano. Che dico, se spesso mi attira, mentre siedo in casa, una tarantola che cattura le
mosche, o un ragno che avvolge nelle sue reti gli insetti che vi incappano? Per il fatto che sono animali
piccoli l’azione che si compie non è la medesima? Di là passo, sì, a lodare te, creatore mirabile, ordinatore
di tutte le cose; ma non è questa la mia intenzione all’inizio. Altro è l’alzarsi prontamente, altro il non
cadere. La mia vita pullula di episodi del genere, sicché l’unica mia speranza è la tua grandissima
misericordia. Il nostro cuore diventa un covo di molti difetti di questo genere, porta dentro di sé fitte
Agostino – Confessioni pag. 93 di 134