Page 89 - Confessioni
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non ricordare neppure d’averla dimenticata. La felicità della vita non è proprio ciò che tutti vogliono e
nessuno senza eccezioni non vuole? Dove la conobbero per volerla così? dove la videro per amarla? Certo
noi la possediamo in qualche modo. C’è il modo di chi la possiede, e allora è felice, e c’è chi è felice per
la speranza di possederla. I secondi la posseggono in modo inferiore ai primi, felici già per la padronanza
della felicità; tuttavia stanno meglio di altri, non felici né per padronanza né per speranza. Però nemmeno
questi ultimi desidererebbero tanto la felicità, se non la possedessero in qualche modo; che la desiderino, è
certissimo. Non so come, la conobbero, e perciò, perché la conoscono, la posseggono, in una forma a me
sconosciuta, che mi travaglio di conoscere. È forse nella memoria? Se lì, ci fu già un tempo, in cui fummo
felici; se ciascuno individualmente, o nella persona del primo peccatore in cui tutti siamo morti e da cui
tutti siamo nati infelici, non cerco ora di sapere. Ora cerco di sapere se la felicità si trova nella memoria.
Certo, se non la conoscessimo, non l’ameremmo. All’udirne il nome tutti confessiamo di desiderarla in se
stessa, e non è il suono della parola che ci rallegra. Non si rallegra un greco quando l’ode pronunciare in
latino, poiché non comprende ciò che viene detto, mentre noi ci rallegriamo, come si rallegra lo stesso
greco all’udirlo in greco, poiché la cosa in se stessa non è greca né latina, ed è la cosa, che greci e latini e
popoli di ogni altra lingua cercano avidamente. L’umanità intera la conosce. Se si potesse chiederle con
una sola parola se vuol essere felice, non v’è dubbio che risponderebbe di sì. Il che non accadrebbe, se
appunto la cosa che la parola designa non si conservasse nella memoria.
Il ricordo della felicità
21. 30. È un ricordo simile a quello che ha di Cartagine chi vide questa città? No, perché la felicità, non
essendo corporea, non si vede con gli occhi. È simile al ricordo che abbiamo dei numeri? Nemmeno,
perché chi ha la nozione dei numeri non cerca ancora di possederli, mentre la nozione che abbiamo della
felicità ce la fa anche amare, e tuttavia cerchiamo ancora di possederla per essere felici. È simile al
ricordo che abbiamo dell’eloquenza? Nemmeno, perché se, a udirne il nome, anche le persone non ancora
eloquenti ricordano cosa designa, e se molti desiderano essere eloquenti, così dimostrando di avere
nozione dell’eloquenza, tuttavia costoro percepirono l’eloquenza in altri mediante i sensi del corpo, ne
provarono godimento, e quindi desiderano essere eloquenti; però senza una nozione interiore non
potrebbero provare godimento, e senza godimento non potrebbero desiderare di essere eloquenti. Ma la
felicità non la conosciamo negli altri mediante i sensi del corpo. È simile allora al ricordo che abbiamo
della gioia? Forse sì. Delle mie gioie ho il ricordo anche nella tristezza, e così della felicità nell’afflizione.
Eppure non ho mai visto o udito o fiutato o gustato o toccato questa gioia con i sensi del corpo, bensì l’ho
sperimentata nel mio animo quando mi sono rallegrato. La sua nozione penetrò nella mia memoria
affinché potessi ricordarla, ora con disdegno, ora con desiderio, secondo i diversi motivi per cui ricordo di
aver gioito. Se mi pervase la gioia per moti-vi abietti, ora il suo ricordo mi è detestabile ed esecrabile; se
per motivi buoni e onesti, la rievoco con rimpianto, anche se per caso essi mancano. Di qui la triste
rievocazione della gioia antica.
Desiderio universale della felicità
21. 31. Dove dunque e quando ho sperimentato la mia felicità, per poterla ricordare e amare e desiderare?
Né soltanto io, o pochi uomini con me vogliono essere felici, bensì tutti lo vogliono. Ora, senza conoscere
ciò di una conoscenza precisa non lo vorremmo di una volontà così decisa. Ma, che è ciò?. Chiedi a due
persone se vogliono fare il soldato, e può accadere che l’una risponda di sì, l’altra di no; ma chiedi loro se
vogliono essere felici, ed ambedue ti risponderanno all’istante, senza ombra di dubbio, che sì; anzi, lo
scopo per cui l’una vuole fare il soldato, l’altra no, è soltanto la felicità. Poiché l’una trae godimento da
una condizione, l’altra dall’altra. Così tutti concordano nel desiderare la felicità, come concorderebbero
nel rispondere a chi chiedesse loro se desiderano godere. Il godimento è appunto ciò che chiamiamo
felicità della vita: l’uno lo ricerca bensì da una parte, l’altro dall’altra, ma tutti tendono a un’unica meta, di
godere. E siccome il gaudio è un sentimento che nessuno può dire di non avere mai sperimentato, perciò
lo si ritrova nella memoria e perciò lo si riconosce all’udire il nome della felicità.
Dio godimento dei suoi servi
22. 32. Lontano, Signore, lontano dal cuore del tuo servo che si confessa a te, lontano il pensiero che
qualsiasi godimento possa rendermi felice. C’è un godimento che non è concesso agli empi, ma a coloro
che ti servono per puro amore, e il loro godimento sei tu stesso. E questa è la felicità, godere per te, di te,
Agostino – Confessioni pag. 87 di 134