Page 85 - Confessioni
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Eppure gli uomini vanno ad ammirare le vette dei monti, le onde enormi del mare, le correnti amplissime
dei fiumi, la circonferenza dell’Oceano, le orbite degli astri, mentre trascurano se stessi. Non li meraviglia
ch’io parlassi di tutte queste cose senza vederle con gli occhi; eppure non avrei potuto parlare senza
vedere i monti e le onde e i fiumi e gli astri che vidi e l’Oceano di cui sentii parlare, dentro di me, nella
memoria tanto estesi come se li vedessi fuori di me. Eppure non li inghiottii vedendoli, quando li vidi con
gli occhi, né sono in me queste cose reali, ma le loro immagini, e so da quale senso del corpo ognuna fu
impressa in me.
c) le nozioni apprese
9. 16. Ma non è questo l’unico contenuto dell’immensa capacità della mia memoria. Vi si trovano anche
tutte le nozioni apprese dall’insegnamento delle discipline liberali, che non ho ancora dimenticato. Esse
stanno relegate, per così dire, in un luogo più interno, che non è un luogo, come non sono le loro
immagini, ma le nozioni stesse, che porto. Cosa è la letteratura? e la dialettica? e quanti sono i tipi di
problemi esistenti? Tutte le mie conoscenze in materia stanno nella mia memoria non quali immagini là
trattenute, mentre ho lasciato fuori l’oggetto: non come un suono echeggiato e trascorso, come una voce,
che imprime nell’orecchio un’orma che la fa ricordare quasi ancora echeggiasse, mentre ormai si tace; o
come un odore, che nel passare e disperdersi al vento colpisce l’olfatto e trasmette così alla memoria una
rappresentazione di sé, che la reminiscenza rievoca; o come un cibo, che certo nel ventre non si assapora
più, eppure quasi lo si assapora nella memoria; o un oggetto, che percepiamo col tatto corporeo e che la
nostra memoria immagina anche quando è separato da noi. In tutti questi casi non s’introducono nella
memoria le cose, ma soltanto le loro immagini sono colte con una rapidità portentosa, riposte in una sorta
di portentose cellette, ed estratte in modo portentoso dal ricordo.
L’acquisizione del sapere
10. 17. Quando però mi si dice: “Tre tipi di problemi vi sono: dell’esistenza, dell’essenza e della qualità di
una cosa”, io afferro, sì, l’immagine dei suoni che queste parole compongono, so che passarono per l’aria
risuonando e ora non esistono più; ma le cose in sé, che quei suoni indicano, non le toccai con nessuno dei
sensi corporei, né le vidi fuori dallo spirito. Nella memoria riposi non già le loro immagini, bensì le cose
stesse. Ma da dove entrarono in me? Lo dicano esse, se possono. Io, per quanto passi in rassegna tutte le
porte della mia carne, non ne trovo una, per cui siano entrate. Gli occhi dichiarano: “Se hanno colore, le
abbiamo trasmesse noi”; le orecchie dichiarano: “Se produssero suono, furono segnalate da noi”; le nari
dichiarano: “Se avevano odore, sono passate da noi”; dichiara anche il senso del gusto: “Se non c’è
sapore, non chiedere nulla a me”; il tatto dichiara: “Se non c’è corpo, non ho palpato, e se non ho palpato,
non ho segnalato”. Da dove, dunque, e per dove entrarono queste cose nella mia memoria? Non lo so. Le
appresi non già affidandomi a un’intelligenza altrui, ma nella mia riconoscendole e apprezzandone la
verità, per poi affidarle ad essa come a un deposito, da cui estrarle a mio piacere. Dunque là erano anche
prima che le apprendessi; ma non erano nella memoria. Dove dunque, o perché al sentirne parlare le
riconobbi e dissi: “È così, è vero”? Erano forse già nella memoria, però tanto remote e relegate, per così
dire, in cavità più segrete, di modo che forse non avrei potuto pensarle senza l’insegnamento di qualcuno,
che le estraesse?
La riflessione
11. 18. Da ciò risulta che l’apprendimento delle nozioni di cui non otteniamo le immagini attraverso i
sensi, ma che senza immagini vediamo direttamente dentro di noi quali sono, altro non è, se non una sorta
di raccolta, da parte del pensiero, di elementi sparsi, contenuti disordinatamente dalla memoria, e di
lavorio da parte della riflessione, affinché nella stessa memoria, ove prima si nascondevano qua e là
negletti, si tengano, diciamo così, a portata di mano per presentarsi d’ora in avanti facilmente alla
considerazione familiare dello spirito. Quante nozioni di questo genere contiene la mia memoria, nozioni
ormai ritrovate e, secondo l’espressione usata sopra, quasi a portata di mano! In tal caso si dice che le
abbiamo imparate e le conosciamo. Se però tralascio di evocarle anche per brevi intervalli di tempo, esse
vengono sommerse di nuovo e dileguano, si direbbe, in più remoti recessi, tanto che poi il pensiero le
deve estrarre da capo, quasi nuove e appunto di là, perché non hanno altra sede, e di nuovo raccoglierle,
per poterle sapere, come adunandole dopo una sorta di dispersione. Da questa operazione deriva il verbo
cogitare, essendo cogo per cogito ciò che ago è per agito, facio per factito. Senonché lo spirito si
appropriò di questo verbo, in modo che ormai si dice propriamente cogitare l’azione di raccogliere, ossia
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