Page 81 - Confessioni
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Libro decimo

                  DOPO LA RICERCA E L’INCONTRO CON DIO



                  Nuove confessioni e loro scopo
                  Dio unica speranza

                  1. 1. Ti comprenderò, o tu che mi comprendi; ti comprenderò come sono anche compreso da te. Virtù
                  dell’anima mia, entra in essa e adeguala a te, per tenerla e possederla senza macchia né ruga. Questa è la
                  mia speranza, per questo parlo, da questa speranza ho gioia ogni qual volta la mia gioia è sana. Gli altri
                  beni di questa vita meritano tanto meno le nostre lacrime, quanto più ne versiamo per essi, e tanto più ne
                  meritano, quanto meno ne versiamo. Ecco, tu amasti la verità, poiché chi l’attua viene alla luce. Voglio
                  dunque attuarla dentro al mio cuore: davanti a te nella mia confessione, e nel mio scritto davanti a molti
                  testimoni.

                  La confessione a Dio
                  2. 2. A te, Signore, se ai tuoi occhi è svelato l’abisso della conoscenza umana, potrebbe essere occultato
                  qualcosa in me, quand’anche evitassi di confessartelo? Nasconderei te a me, anziché me a te. Ora però i
                  miei gemiti attestano il disgusto che provo di me stesso, e perciò tu splendi e piaci e sei oggetto d’amore e
                  di desiderio, cosicché arrossisco di me e mi respingo per abbracciarti, e non voglio piacere né a te né a
                  me, se non per quanto ho di te. Dunque, Signore, io ti sono noto con tutte le mie qualità. A quale scopo
                  tuttavia mi confessi a te, già l’ho detto. È una confessione fatta non con parole e grida del corpo, ma con
                  parole  dell’anima  e  grida  della  mente,  che  il  tuo  orecchio  conosce.  Nella  cattiveria  è  confessione  il
                  disgusto che provo di me stesso; nella bontà è confessione il negarmene il merito,  poiché tu, Signore,
                  benedici  il  giusto, ma prima lo giustifichi  quando è empio. Quindi la mia confessione davanti ai tuoi
                  occhi, Dio mio, è insieme tacita e non tacita. Tace la voce, grida il cuore, poiché nulla di vero dico agli
                  uomini, se prima tu non l’hai udito da me; e tu da me non odi nulla, se prima non l’hai detto tu stesso.


                  La confessione agli uomini
                  3. 3. Ma cos’ho da spartire con gli uomini, per cui dovrebbero ascoltare le mie confessioni? La guarigione
                  di tutte le mie debolezze non verrà certo da questa gente curiosa di conoscere la vita altrui, ma infingarda
                  nel correggere la propria. Perché chiedono di udire da me chi sono io, ed evitano di udire da te chi sono
                  essi? Come poi sapranno, udendo me stesso parlare di me stesso, se dico il vero, quando nessuno fra gli
                  uomini conosce quanto avviene in un uomo, se non lo spirito dell’uomo che è in lui?. Udendoti parlare di
                  se stessi, non potrebbero dire: “Il Signore mente”; poiché udirti parlare di se stessi che altro è, se non
                  conoscere se stessi? e chi conosce e dice: “È falso” senza mentire a se stesso? Ma poiché la carità crede
                  tutto, in coloro almeno che unifica legandoli a se stessa, anch’io, Signore, pure così mi confesso a te per
                  farmi udire dagli uomini. Prove della veridicità della mia confessione non posso fornire loro; ma quelli,
                  cui la carità apre le orecchie alla mia voce, mi credono.


                  Confessioni del passato e del presente

                  3. 4. Tu però, medico della mia intimità, spiegami chiaramente i frutti della mia opera. Le confessioni dei
                  miei errori passati, da te rimessi e velati per farmi godere la tua beatitudine dopo la trasformazione della
                  mia anima mediante la tua fede e il tuo sacramento, spronano il cuore del lettore e dell’ascoltatore a non
                  assopirsi nella disperazione, a non dire: “Non posso”; a vegliare invece nell’amore della tua misericordia,
                  nella  dolcezza  della  tua  grazia,  forza  di  tutti  i  deboli  divenuti  per  essa  consapevoli  della  propria
                  debolezza. I buoni, poi, godono all’udire i mali passati di chi ormai se ne è liberato; godono non già per i
                  mali, ma perché sono passati e non sono più. Con quale frutto dunque, Signore mio, cui si confessa ogni
                  giorno la mia coscienza, fiduciosa più della speranza nella tua misericordia, che della propria innocenza,
                  con quale frutto, di grazia, confesso anche agli uomini innanzi a te, attraverso queste pagine, il mio stato





                  Agostino – Confessioni                                                    pag. 79 di 134
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