Page 83 - Confessioni
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profonda misericordia avrai di colui, del quale avesti misericordia, userai misericordia a colui, verso il
quale fosti misericordioso. Altrimenti cielo e terra ripeterebbero le tue lodi a sordi. Ma che amo, quando
amo te? Non una bellezza corporea, né una grazia temporale: non lo splendore della luce, così caro a
questi miei occhi, non le dolci melodie delle cantilene d’ogni tono, non la fragranza dei fiori, degli
unguenti e degli aromi, non la manna e il miele, non le membra accette agli amplessi della carne. Nulla di
tutto ciò amo, quando amo il mio Dio. Eppure amo una sorta di luce e voce e odore e cibo e amplesso
nell’amare il mio Dio: la luce, la voce, l’odore, il cibo, l’amplesso dell’uomo interiore che è in me, ove
splende alla mia anima una luce non avvolta dallo spazio, ove risuona una voce non travolta dal tempo,
ove olezza un profumo non disperso dal vento, ov’è colto un sapore non attenuato dalla voracità, ove si
annoda una stretta non interrotta dalla sazietà. Ciò amo, quando amo il mio Dio.
Ricerca di Dio oltre la materia
6. 9. Che è ciò?. Interrogai sul mio Dio la mole dell’universo, e mi rispose: “Non sono io, ma è lui che mi
fece”. Interrogai la terra, e mi rispose: “Non sono io”; la medesima confessione fecero tutte le cose che si
trovano in essa. Interrogai il mare, i suoi abissi e i rettili con anime vive; e mi risposero: “Non siamo noi il
tuo Dio; cerca sopra di noi”. Interrogai i soffi dell’aria, e tutto il mondo aereo con i suoi abitanti mi
rispose: “Erra Anassimene, io non sono Dio”. Interrogai il cielo, il sole, la luna, le stelle: “Neppure noi
siamo il Dio che cerchi”, rispondono. E dissi a tutti gli esseri che circondano le porte del mio corpo:
“Parlatemi del mio Dio; se non lo siete voi, ditemi qualcosa di lui”; ed essi esclamarono a gran voce: “È
lui che ci fece”. Le mie domande erano la mia contemplazione; le loro risposte, la loro bellezza. Allora mi
rivolsi a me stesso. Mi chiesi. “Tu, chi sei?”; e risposi: “Un uomo”. Dunque, eccomi fornito di un corpo e
di un’anima, l’uno esteriore, l’altra interiore. A quali dei due chiedere del mio Dio, già cercato col corpo
dalla terra fino al cielo, fino a dove potei inviare messaggeri, i raggi dei miei occhi? Più prezioso
l’elemento interiore. A lui tutti i messaggeri del corpo riferivano, come a chi governi e giudichi, le
risposte del cielo e della terra e di tutte le cose là esistenti, concordi nel dire: “Non siamo noi Dio”, e: “È
lui che ci fece”. L’uomo interiore apprese queste cose con l’ausilio dell’esteriore; io, l’interiore, le ho
apprese, io, io, lo spirito, per mezzo dei sensi del mio corpo.
6. 10. Non appare a chiunque è dotato compiutamente di sensi questa bellezza? Perché dunque non parla a
tutti nella stessa maniera? Gli animali piccoli e grandi la vedono, ma sono incapaci di fare domande,
poiché in essi non è preposta ai messaggi dei sensi una ragione giudicante. Gli uomini però sono capaci di
fare domande, per scorgere quanto in Dio è invisibile e comprendendolo attraverso il creato. Senonché il
loro amore li asservisce alle cose create, e i servi non possono giudicare. Ora, queste cose rispondono
soltanto a chi le interroga sapendo giudicare; non mutano la loro voce, ossia la loro bellezza, se uno vede
soltanto, mentre l’altro vede e interroga, così da presentarsi all’uno e all’altro sotto aspetti diversi; ma, pur
presentandosi a entrambi sotto il medesimo aspetto, essa per l’uno è muta, per l’altro parla; o meglio,
parla a tutti, ma solo coloro che confrontano questa voce ricevuta dall’esterno, con la verità nel loro
interno, la capiscono. Mi dice la verità: “Il tuo Dio non è la terra, né il cielo, né alcun altro corpo”;
l’afferma la loro natura, lo si vede, essendo ogni massa minore nelle sue parti che nel tutto. Tu stessa sei
certo più preziosa del tuo corpo, io te lo dico, anima mia, poiché ne vivifichi la massa, prestandogli quella
vita che nessun corpo può fornire a un altro corpo. Ma il tuo Dio è anche per te vita della tua vita.
Ricerca di Dio oltre la forza vitale e la sensibilità
7. 11. Che amo dunque, allorché amo il mio Dio? Chi è costui, che sta sopra il vertice della mia anima?
Proprio con l’aiuto della mia anima salirò fino a lui, trascenderò la mia forza che mi avvince al corpo e ne
riempie l’organismo di vita. Non con questa forza potrei trovare il mio Dio; altrimenti anche un cavallo e
un mulo, privi d’intelligenza, ma dotati della medesima forza, per cui hanno vita anche i loro corpi,
potrebbero trovarlo. C’è un’altra forza, quella con cui rendo non solo viva, ma anche sensitiva la mia
carne, che mi fabbricò il Signore, prescrivendo all’occhio di non udire, all’orecchio di non vedere, ma
all’uno di farmi vedere, all’altro di farmi udire, e così a ciascuno degli altri sensi prescrizioni proprie
secondo le loro sedi e le loro attribuzioni; e così io, unico spirito, compio azioni diverse per loro mezzo.
Trascenderò anche questa mia forza, poiché ne godono anche un cavallo e un mulo, che infatti hanno essi
pure la sensibilità fisica.
La memoria
Agostino – Confessioni pag. 81 di 134