Page 78 - Confessioni
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presso  la  finestra,  quando  disse:  “Ormai  cosa  faccio  qui?”,  era  apparso  che  non  aveva  il  desiderio  di
                  morire in patria. Più tardi venni anche a sapere che già parlando un giorno in mia assenza, durante la
                  nostra  dimora  in  Ostia,  ad  alcuni  amici  miei  con  fiducia  materna  sullo  spregio  della  vita  terrena  e  il
                  vantaggio della morte, di fronte al loro stupore per la virtù di una femmina, che l’aveva ricevuta da te, e
                  alla loro domanda, se non l’impauriva l’idea di lasciare il corpo tanto lontano dalla sua città, esclamò:
                  “Nulla è lontano da Dio, e non c’è da temere che alla fine del mondo egli non riconosca il luogo da cui
                  risuscitarmi”. Al nono giorno della sua malattia, nel cinquantaseiesimo anno della sua vita, trentatreesimo
                  della mia, quell’anima credente e pia fu liberata dal corpo.


                  Un trapasso non funesto
                  12. 29. Le chiudevo gli occhi, e una tristezza immensa si addensava nel mio cuore e si trasformava in un
                  fiotto  di  lacrime.  Ma  contemporaneamente  i  miei  occhi  sotto  il  violento  imperio  dello  spirito  ne
                  riassorbivano  il  fonte  sino  a  disseccarlo.  Fu  una  lotta  penosissima.  Il  giovane  Adeodato  al  momento
                  dell’estremo respiro di lei era scoppiato in singhiozzi, poi, trattenuto da noi tutti, rimase zitto: allo stesso
                  modo anche quanto vi era di puerile in me, che si scioglieva in pianto, veniva represso e zittito dalla voce
                  adulta della mente. Non ci sembrava davvero conveniente celebrare un funerale come quello fra lamenti,
                  lacrime e gemiti. Così si suole piangere in chi muore una sorta di sciagura e quasi di annientamento totale;
                  ma la morte di mia madre non era una sciagura e non era totale. Ce lo garantivano la prova della sua vita e
                  una fede non finta e ragioni sicure.


                  Sforzi di Agostino per reprimere le lacrime
                  12.  30.  Ma  cos’era  dunque,  che  mi  doleva  dentro  gravemente,  se  non  la  recente  ferita,  derivata  dalla
                  lacerazione improvvisa della nostra così dolce e cara consuetudine di vita comune? Mi confortavo della
                  testimonianza che mi aveva dato proprio durante la sua ultima malattia, quando, inframezzando con una
                  carezza i miei servigi, mi chiamava buono e mi ripeteva con grande effusione d’affetto di non aver mai
                  udito una parola dura o offensiva al suo indirizzo scoccata dalla mia bocca; eppure, Dio mio, creatore
                  nostro, come assomigliare, come paragonare il rispetto che avevo portato io per lei, alla servitù che aveva
                  sopportato lei per me? Privata della grandissima consolazione che trovava in lei, la mia anima rimaneva
                  ferita e la mia vita, stata tutt’una con la sua, rimaneva come lacerata.

                  12. 31. Soffocato dunque il pianto del fanciullo, Evodio prese il salterio e intonò un salmo. Gli rispondeva
                  tutta la casa: “La tua misericordia e la tua giustizia ti canterò, Signore”. Alla nuova, poi, dell’accaduto, si
                  diedero convegno molti fratelli e pie donne; e mentre gli incaricati si occupavano dei funerali secondo le
                  usanze,  io  mi  appartavo  in  un  luogo  conveniente  con  gli  amici,  che  ritenevano  di  non  dovermi
                  abbandonare, e mi trattenevo con loro su temi adatti alla circostanza. Il balsamo della verità leniva un
                  tormento che tu conoscevi, essi ignoravano. Mi ascoltavano attentamente e pensavano che non provassi
                  dolore. Invece al tuo orecchio, ove nessuno di loro udiva, mi rimproveravo la debolezza del sentimento e
                  trattenevo il fiotto dell’afflizione, che per qualche tempo si ritraeva davanti ai miei sforzi, ma per essere
                  sospinto di nuovo dalla sua violenza. Non erompeva in lacrime né alterava i tratti del viso, ma sapevo ben
                  io cosa tenevo compresso nel cuore. Il vivo disappunto, poi, che provavo di fronte al grande potere su me
                  di questi avvenimenti umani, inevitabili nell’ordine naturale delle cose e nella condizione che abbiamo
                  sortito, era un nuovo dolore, che mi addolorava per il mio dolore, cosicché mi consumavo d’una duplice
                  tristezza.


                  Le esequie

                  12. 32. Alla sepoltura del suo corpo andai e tornai senza piangere. Nemmeno durante le preghiere che
                  spandemmo  innanzi  a  te  mentre  veniva  offerto  in  suo  suffragio  il  sacrificio  del  nostro  riscatto,  col
                  cadavere già deposto vicino alla tomba, prima della sepoltura, come vuole l’usanza del luogo, ebbene,
                  nemmeno durante quelle preghiere piansi. Ma per tutta la giornata sentii una profonda mestizia nel segreto
                  del cuore e ti pregai come potevo, con la mente sconvolta, di guarire il mio dolore. Non mi esaudisti, per
                  imprimere, credo, nella mia memoria almeno con quest’unica prova come sia forte il legame di qualsiasi
                  abitudine anche per un’anima che già si nutre della parola non fallace. Pensai di andare a prendere anche
                  un bagno, avendo sentito dire che i bagni furono così chiamati perché i greci dicono balanion, in quanto
                  espelle l’affanno dall’animo. Ma ecco, confesso anche questo alla tua misericordia, Padre degli orfani:




                  Agostino – Confessioni                                                    pag. 76 di 134
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