Page 75 - Confessioni
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Più che le premure della madre per la sua educazione, ella soleva esaltare quelle di una fantesca decrepita,
che aveva portato suo padre in fasce sul dorso, ove le fanciulle appena grandicelle usano portare i piccini.
Questo precedente, insieme all’età avanzata e alla condotta irreprensibile, le avevano guadagnato non
poco rispetto da parte dei padroni in quella casa cristiana. Quindi le fu affidata l’educazione delle figliuole
dei padroni, cui attendeva diligentemente, energica nel punire all’occorrenza con ben ispirata severità e
piena di buon senso nell’ammaestrare. Ad esempio, fuori delle ore in cui pasteggiavano a tavola, molto
parcamente, con i genitori, non le lasciava bere nemmeno l’acqua, anche se fossero riarse dalla sete.
Mirava così a prevenire una brutta abitudine e aggiungeva con saggia parola: “Ora bevete acqua, perché
non disponete di vino; ma una volta sposate e divenute padrone di dispense e cantine, l’acqua vi parrà
insipida, ma il vezzo di bere s’imporrà”. Con questo genere di precetti e con autorità di comando teneva a
freno l’ingordigia di un’età ancora tenera e uniformava la stessa sete delle fanciulle alla regola della
modestia, fino a rendere per loro nemmeno gradevole ciò che non era onorevole.
Monica corretta dal vizio di bere
8. 18. Tuttavia si era insinuato in mia madre, secondo che a me, suo figlio, la tua serva raccontava, si era
insinuato il gusto del vino. Quando i genitori, che la credevano una fanciulla sobria, la mandavano ad
attingere il vino secondo l’usanza, essa, affondato il boccale dall’apertura superiore della tina, prima di
versare il liquido puro nel fiaschetto, ne sorbiva un poco a fior di labbra. Di più non riusciva senza
provarne disgusto, poiché non vi era spinta minimamente dalla golosità del vino, bensì da una smania
indefinibile, propria dell’età esuberante, che esplode in qualche gherminella e che solo la mano pesante
degli anziani reprime di solito negli animi dei fanciulli. Così, aggiungendo ogni giorno un piccolo sorso al
primo, come è vero che a trascurare le piccole cose si finisce col cadere, sprofondò in quel vezzo al
punto che ormai tracannava avidamente coppette quasi colme di vino puro. Dov’era finita la sagace
vecchierella, con i suoi energici divieti? Ma quale rimedio poteva darsi contro una malattia occulta, se non
la vigile presenza su di noi della tua medicina, Signore? Assenti il padre, la madre, le nutrici, tu eri
presente, il Creatore, che ci chiami, che pure attraverso le gerarchie umane operi qualche bene per la
salute delle anime. In quel caso come operasti, Dio mio? donde traesti il rimedio, donde la salute? Non
ricavasti da un’altra anima un duro e acuminato insulto, che come ferro guaritore uscito dalle tue riserve
occulte troncò la cancrena con un colpo solo? L’ancella che accompagnava abitualmente mia madre alla
tina, durante il litigio, come avviene, a tu per tu con la piccola padrona, le rinfacciò il suo vizio,
chiamandola con l’epiteto davvero offensivo di beona. Fu per la fanciulla una frustata. Riconobbe l’orrore
della propria consuetudine, la riprovò sull’istante e se ne spogliò. Come gli amici corrompono con le
adulazioni, così i nemici per lo più correggono con le offese, e tu non li ripaghi dell’opera che compi per
mezzo loro, ma dell’intenzione che ebbero per conto loro. La fantesca nella sua ira desiderò esasperare la
piccola padrona, non guarirla, e agì mentre erano sole perché si trovavano sole dove e quando scoppiò il
litigio, oppure perché non voleva rischiare di scapitarne anch’essa per aver tardato tanto a rivelare il fatto.
Ma tu, Signore, reggitore di ogni cosa in cielo e in terra, che volgi ai tuoi fini le acque profonde del
torrente, il torbido ma ordinato flusso dei secoli, mediante l’insania stessa di un’anima ne risanasti
un’altra. La considerazione di questo episodio induca chiunque a non attribuire al proprio potere il
ravvedimento provocato dalle sue parole in un estraneo che vuole far ravvedere.
Monica sposa paziente
9. 19. Mia madre fu dunque allevata nella modestia e nella sobrietà, sottomessa piuttosto da te ai genitori,
che dai genitori a te. Giunta in età matura per le nozze, fu consegnata a un marito, che servì come un
padrone. Si adoperò per guadagnarlo a te, parlandogli di te attraverso le virtù di cui la facevi bella e con
cui le meritavi il suo affetto rispettoso e ammirato. Tollerò gli oltraggi al letto coniugale in modo tale, da
non avere il minimo litigio per essi col marito. Aspettava la tua misericordia, che scendendo su di lui gli
desse insieme alla fede la castità. Era del resto un uomo singolarmente affettuoso, ma altrettanto facile
all’ira, e mia madre aveva imparato a non resistergli nei momenti di collera, non dico con atti, ma neppure
a parole. Coglieva invece il momento adatto, quando lo vedeva ormai rabbonito e calmo, per rendergli
conto del proprio comportamento, se per caso si era turbato piuttosto a sproposito. Molte altre signore,
pur sposate a uomini più miti del suo, portavano segni di percosse che ne sfiguravano addirittura l’aspetto,
e nelle conversazioni tra amiche deploravano il comportamento dei mariti. Essa deplorava invece la loro
lingua, ammonendole seriamente con quella che sembrava una facezia: dal momento, diceva, in cui si
erano sentite leggere il contratto matrimoniale, avrebbero dovuto considerarlo come la sanzione della
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