Page 73 - Confessioni
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è impresso il lume del tuo volto, Signore”. Non siamo noi il lume che illumina ogni uomo, ma siamo
illuminati da te per renderci, da tenebre che fummo un tempo, luce in te. Oh se vedessero nel loro interno
l’eterno, che io, per averlo gustato, fremevo di non poter mostrare a loro; se mi portassero il cuore, che
hanno negli occhi, quindi fuori di loro, lontano da te, e chiedessero: “Chi ci mostrerà il bene?”. Là infatti,
ove avevo concepito l’ira contro me stesso, dentro, nella mia stanza segreta, ove ero stato punto dalla
contrizione, ove avevo immolato in sacrificio la parte vecchia di me stesso e fidando in te avevo iniziato
la meditazione del mio rinnovamento, là mi avevi fatto sentire dapprima la tua dolcezza e avevi messo la
gioia nel mio cuore. Gridavo, leggendo esteriormente queste parole e comprendendole interiormente, né
volevo moltiplicarmi nei beni terreni, divorando il tempo e divorato dal tempo, mentre avevo nell’eterna
semplicità un diverso frumento e vino e olio.
4. 11. Il verso seguente strappava un alto grido dal mio cuore: Oh, nella pace, oh, nell’Essere stesso...: oh,
quali parole:... mi addormenterò e prenderò sonno! Chi potrà mai resisterci, quando si attuerà la parola
che fu scritta: La morte è stata assorbita nella vittoria? Tu sei veramente quell’Essere stesso, che non
muti; in te è il riposo oblioso di tutti gli affanni, poiché nessun altro è con te né si devono cogliere le altre
molteplici cose che non sono ciò che tu sei; ma tu, Signore, mi hai stabilito, unificandomi nella speranza.
Leggevo e ardevo e non trovavo modo di agire con quei morti sordi, al cui novero ero appartenuto
anch’io, pestifero, aspro e cieco nel latrare contro le tue Scritture dolci del dolce miele celeste, e del lume
tuo luminose. Mi consumavo, pensando ai nemici di tanto scritto.
Improvvisa guarigione d’un male ai denti
4. 12. Quando ricorderò tutti gli avvenimenti di quei giorni di vacanza? Non li ho però dimenticati, né
tacerò la durezza del tuo flagello e la mirabile prestezza della tua misericordia. Mi torturavi allora con un
male ai denti. Quando si aggravò tanto che non riuscivo a parlare, mi sorse in cuore il pensiero d’invitare
tutti i miei là presenti a scongiurarti per me, Dio d’ogni salvezza. Lo scrissi sopra una tavoletta di cera,
che consegnai loro perché leggessero, e appena piegammo le ginocchia in una supplica ardente, il dolore
scomparve. Ma quale dolore? o come scomparve? Ne fui spaventato, lo confesso, Signore mio e Dio mio,
perché non mi era mai capitato nulla di simile da quando ero venuto al mondo. S’insinuarono così nel
profondo del mio essere i tuoi ammonimenti, e giulivo nella fede lodai il tuo nome. Quella fede tuttavia
non mi permetteva di essere tranquillo riguardo ai miei peccati anteriori, perché non mi erano stati ancora
rimessi mediante il tuo battesimo.
Dimissioni dall’insegnamento
5. 13. Al termine delle vacanze vendemmiali avvertii i milanesi di provvedersi un altro spacciatore di
parole per i loro studenti, poiché io avevo scelto di passare al tuo servizio e non ero più in grado di
esercitare quella professione per la difficoltà di respirare e il male di petto. Con una lettera informai il tuo
vescovo, il santo Ambrogio, dei miei errori passati e della mia intenzione presente, chiedendogli consiglio
sui tuoi libri che più mi conveniva di leggere per meglio prepararmi e dispormi a ricevere tanta grazia. Mi
prescrisse la lettura del profeta Isaia, credo perché fra tutti è quello che preannunzia più chiaramente il
Vangelo e la chiamata dei gentili. Trovandolo però incomprensibile all’inizio e supponendo che fosse
tutto così, ne rinviai la lettura, per riprenderla quando fossi addestrato meglio nel linguaggio del Signore.
A Milano per il battesimo
Ritorno a Milano e battesimo con Alipio e Adeodato
6. 14. Giunto il momento in cui dovevo dare il mio nome per il battesimo, lasciammo la campagna e
facemmo ritorno a Milano. Alipio volle rinascere anch’egli in te con me. Era già rivestito dell’umiltà
conveniente ai tuoi sacramenti e dominava così saldamente il proprio corpo, da calpestare il suolo italico
ghiacciato a piedi nudi, il che richiede un coraggio non comune. Prendemmo con noi anche il giovane
Adeodato, nato dalla mia carne e frutto del mio peccato. Tu bene l’avevi fatto. Era appena quindicenne, e
superava per intelligenza molti importanti e dotti personaggi. Ti riconosco i tuoi doni, Signore Dio mio,
creatore di tutto, abbastanza potente per dare forma alle nostre deformità; poiché di mio in quel ragazzo
non avevo che il peccato, e se veniva allevato da noi nella tua disciplina, fu per tua ispirazione, non
d’altri. Ti riconosco i tuoi doni. In uno dei miei libri, intitolato Il maestro, mio figlio appunto conversa
con me. Tu sai che tutti i pensieri introdotti in quel libro dalla persona del mio interlocutore sono suoi, di
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