Page 68 - Confessioni
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voce. Anziché contrastare, diciamo così, a viso aperto, venendomi innanzi, parevano bisbigliare dietro le
                  spalle e quasi mi pizzicavano di soppiatto mentre fuggivo, per farmi volgere indietro lo sguardo. Così
                  però mi attardavano, poiché indugiavo a staccarmi e scuotermi da esse per balzare ove tu mi chiamavi.
                  L’abitudine, tenace, mi diceva: “Pensi di poterne fare a meno?”.


                  Esortazione della Continenza

                  11.  27.  Ma  la  sua  voce  era  ormai  debolissima.  Dalla  parte  ove  avevo  rivolto  il  viso,  pur  temendo  a
                  passarvi, mi si svelava la casta maestà della Continenza, limpida, sorridente senza lascivia, invitante con
                  verecondia  a  raggiungerla  senza  esitare,  protese  le  pie  mani  verso  di  me  per  ricevermi  e  stringermi,
                  ricolme di una frotta di buoni esempi: fanciulli e fanciulle in gran numero, moltitudini di giovani e gente
                  d’ogni età, e vedove gravi e vergini canute. E in tutte queste anime la continenza, dico, non era affatto
                  sterile,  bensì  madre  feconda  di  figli:  i  gaudi  ottenuti dallo sposo, da te, Signore. Con un sorriso sulle
                  labbra, che era di derisione e incoraggiamento insieme, sembrava dire: “Non potrai fare anche tu ciò che
                  fecero questi giovani, queste donne? E gli uni e le altre ne hanno il potere in se medesimi o nel Signore
                  Dio loro? Il Signore Dio loro mi diede ad essi. Perché ti reggi, e non ti reggi, su di te? Gèttati in lui senza
                  timore.  Non  si  tirerà  indietro  per  farti  cadere.  Gèttati  tranquillo,  egli  ti  accoglierà  e  ti  guarirà”.  Io
                  arrossivo  troppo,  udendo  ancora  i  sussurri  delle  frivolezze;  ero  sospeso  nell’esitazione,  mentre  la
                  Continenza riprendeva, quasi, a parlare: “Chiudi le orecchie al richiamo della tua carne immonda  sulla
                  terra per mortificarla. Le voluttà che ti descrive sono difformi dalla legge del Signore Dio tuo “. Questa
                  disputa avveniva nel mio cuore, era di me stesso contro me stesso solo. Alipio, immobile al mio fianco,
                  attendeva in silenzio l’esito della mia insolita agitazione.


                  Colloquio con Dio
                  12. 28. Quando dal più segreto fondo della mia anima l’alta meditazione ebbe tratto e ammassato tutta la
                  mia miseria davanti agli occhi del mio cuore, scoppiò una tempesta ingente, grondante un’ingente pioggia
                  di  lacrime.  Per  scaricarla  tutta  con  i  suoi  strepiti  mi  alzai  e  mi  allontanai  da  Alipio,  parendomi  la
                  solitudine più propizia al travaglio del pianto, quanto bastava perché anche la sua presenza non potesse
                  pesarmi. In questo stato mi trovavo allora, ed egli se ne avvide, perché, penso, mi era sfuggita qualche
                  parola, ove risuonava ormai gravida di pianto la mia voce; e in questo stato mi alzai. Egli dunque rimase
                  ove ci eravamo seduti, immerso nel più grande stupore. Io mi gettai disteso, non so come, sotto una pianta
                  di fico e diedi libero corso alle lacrime. Dilagarono i fiumi dei miei occhi, sacrificio gradevole per te, e ti
                  parlai a lungo, se non in questi termini, in questo senso: “E tu, Signore, fino a quando?. Fino a quando,
                  Signore,  sarai  irritato  fino  alla  fine?  Dimentica  le  nostre  passate  iniquità  “.  Sentendomene  ancora
                  trattenuto, lanciavo grida disperate: “Per quanto tempo, per quanto tempo il “domani e domani”? Perché
                  non subito, perché non in quest’ora la fine della mia vergogna?”.

                  “Prendi e leggi”
                  12. 29. Così parlavo e piangevo nell’amarezza sconfinata del mio cuore affranto. A un tratto dalla casa
                  vicina mi giunge una voce, come di fanciullo o fanciulla, non so, che diceva cantando e ripetendo più
                  volte: “Prendi e leggi, prendi e leggi”. Mutai d’aspetto all’istante e cominciai a riflettere con la massima
                  cura se fosse una cantilena usata in qualche gioco di ragazzi, ma non ricordavo affatto di averla udita da
                  nessuna parte. Arginata la piena delle lacrime, mi alzai. L’unica interpretazione possibile era per me che si
                  trattasse di un comando divino ad aprire il libro e a leggere il primo verso che vi avrei trovato. Avevo
                  sentito dire di Antonio che ricevette un monito dal Vangelo, sopraggiungendo per caso mentre si leggeva:
                  “Va’, vendi tutte le cose che hai, dàlle ai poveri e avrai un tesoro nei cieli, e vieni, seguimi”. Egli lo
                  interpretò come un oracolo indirizzato a se stesso e immediatamente si rivolse a te. Così tornai concitato
                  al  luogo  dove  stava  seduto  Alipio  e  dove  avevo  lasciato  il  libro  dell’Apostolo  all’atto  di  alzarmi.  Lo
                  afferrai, lo aprii e lessi tacito il primo versetto su cui mi caddero gli occhi. Diceva: “Non nelle crapule e
                  nelle ebbrezze, non negli amplessi e nelle impudicizie, non nelle contese e nelle invidie, ma rivestitevi del
                  Signore Gesù Cristo né assecondate la carne nelle sue concupiscenze”. Non volli leggere oltre, né mi
                  occorreva. Appena terminata infatti la lettura di questa frase, una luce, quasi, di certezza penetrò nel mio
                  cuore e tutte le tenebre del dubbio si dissiparono.

                  12. 30. Chiuso il libro, tenendovi all’interno il dito o forse un altro segno, già rasserenato in volto, rivelai




                  Agostino – Confessioni                                                    pag. 66 di 134
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