Page 65 - Confessioni
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loro. I nuovi venuti persistettero nella vita di prima, ma tuttavia piansero su di sé, come diceva Ponticiano,
mentre con gli amici si felicitarono piamente e si raccomandarono alle loro preghiere, per poi tornare a
palazzo strisciando il cuore in terra, mentre essi rimasero nella capanna fissando il cuore in cielo.
Entrambi erano fidanzati; quando le spose seppero l’accaduto, consacrarono anch’esse la loro verginità a
te.
Miseria e pena di Agostino
7. 16. Questo il racconto di Ponticiano. E tu, Signore, mentre parlava mi facevi ripiegare su me stesso,
togliendomi da dietro al mio dorso, ove mi ero rifugiato per non guardarmi, e ponendomi davanti alla mia
faccia, affinché vedessi quanto era deforme, quanto storpio e sordido, coperto di macchie e piaghe.
Visione orrida; ma dove fuggire lungi da me?. Se tentavo di distogliere lo sguardo da me stesso, c’era
Ponticiano, che continuava, continuava il suo racconto, e c’eri tu, che mi mettevi nuovamente di fronte a
me stesso e mi ficcavi nei miei occhi, affinché scoprissi e odiassi la mia malvagità. La conoscevo, ma la
coprivo, la trattenevo e me ne scordavo.
7. 17. Ma ora quanto più amavo i due giovani ascoltando gli slanci salutari con cui ti avevano affidato la
loro intera guarigione, tanto più mi trovavo detestabile al loro confronto e mi odiavo. Molti anni della mia
vita si erano perduti con me, forse dodici da quello in cui, diciannovenne, leggendo l’Ortensio di Cicerone
mi ero sentito spingere allo studio della sapienza; e ancora rinviavo il momento di dedicarmi, nel
disprezzo della felicità terrena, all’indagine di quell’altra, la cui non dirò scoperta, ma pur semplice
ricerca si doveva anteporre persino alla scoperta di tesori, di regni terreni e ai piaceri fisici, che affluivano
a un mio cenno da ogni dove. Eppure da giovinetto, ben misero, sì, misero proprio sulla soglia della
giovinezza, ti avevo pur chiesto la castità. “Dammi, ti dissi, la castità e la continenza, ma non ora”, per
timore che, esaudendomi presto, presto mi avresti guarito dalla malattia della concupiscenza, che
preferivo saziare, anziché estinguere. Mi ero così incamminato per le vie cattive di una superstizione
sacrilega, senza esserne sicuro, è vero, ma comunque anteponendola alle altre dottrine, che invece di
indagare devotamente, combattevo ostilmente.
7. 18. Avevo pensato che la ragione per cui differivo di giorno in giorno il momento di seguire
unicamente te, disprezzando le promesse del secolo, fosse la mancanza di una luce sicura, su cui orientare
il mio corso. Ed era venuto il giorno in cui mi trovavo nudo davanti a me stesso e sotto le rampogne della
mia coscienza: “Dov’è la tua loquacità? Tu proprio andavi dicendo che rifiutavi di sbarazzarti del tuo
bagaglio di vanità per l’incertezza del vero. Ecco, ora il vero è certo, e la vanità ti opprime ancora. A
spalle più libere delle tue spuntarono le ali senza che si fossero consumate nella ricerca e in una
meditazione di oltre un decennio su questi problemi”. Così mi rodevo in cuore e mi sentivo violentemente
turbare da un’orrenda vergogna al racconto di Ponticiano. Concluso per altro il discorso e l’affare per cui
era venuto, egli uscì e io rientrai in me. Cosa non dissi contro di me? Di quali colpi non flagellai la mia
anima con le verghe dei pensieri affinché mi seguisse nei miei sforzi per camminare sulle tue orme?
Recalcitrava, ricusava e non si scusava. Tutti gli argomenti erano stati sfruttati e confutati. Non le
rimaneva che un’ansia muta; come la morte temeva di essere costretta a ritrarsi dal flusso della
consuetudine, che la corrompeva fino a morirne.
In giardino
Agostino e Alipio in giardino
8. 19. Allora, nel mezzo della grande rissa che si svolgeva dentro alla mia casa e che avevo scatenato
energicamente contro la mia anima nella nostra stanza più segreta, nel mio cuore, sconvolto il viso quanto
la mente, mi precipito da Alipio esclamando: “Cosa facciamo? cosa significa ciò? cosa hai udito? Alcuni
indotti si alzano e rapiscono il cielo, mentre noi con tutta la nostra dottrina insensata, ecco dove ci
avvoltoliamo, nella carne e nel sangue. O forse, poiché ci precedettero, abbiamo vergogna a seguirli e non
abbiamo vergogna a non seguirli almeno?”. Dissi, penso, qualcosa del genere, poi la mia tempesta
interiore mi strappò da lui, che mi mirava attonito, in silenzio. Certo le mie parole erano insolite, ma più
ancora delle parole che pronunciavo, esprimevano i miei sentimenti la fronte, le guance, gli occhi, il
colore della pelle, il tono della voce. Annesso alla nostra abitazione era un modesto giardinetto, che
usavamo come il resto della casa, poiché il nostro ospite, padrone della casa, non l’abitava. Là mi sospinse
il tumulto del cuore. Nessuno avrebbe potuto arrestarvi il focoso litigio che avevo ingaggiato con me
stesso e di cui tu conoscevi l’esito, io no. Io insanivo soltanto, per rinsavire, e morivo, per vivere,
Agostino – Confessioni pag. 63 di 134