Page 66 - Confessioni
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consapevole del male che ero e inconsapevole del bene che presto sarei stato. Mi ritirai dunque nel
giardino, e Alipio dietro, passo per passo. In verità mi sentivo ancora solo, malgrado la sua presenza, e
poi, come avrebbe potuto abbandonarmi in quelle condizioni? Sedemmo il più lontano possibile
dall’edificio. Io fremevo nello spirito, sdegnato del più torbido sdegno perché non andavo verso la tua
volontà e la tua alleanza, Dio mio, verso le quali tutte le mie ossa gridavano che si doveva andare,
esaltandole con lodi fino al cielo. E là non si andava con navi o carrozze o passi, nemmeno i pochi con cui
ero andato dalla casa al luogo ov’eravamo seduti. L’andare, non solo, ma pure arrivare colà non era altro
che il volere di andare, però un volere vigoroso e totale, non i rigiri e sussulti di una volontà mezzo ferita
nella lotta di una parte di sé che si alzava, contro l’altra che cadeva.
8. 20. Nelle tempeste dell’esitazione facevo con la persona molti dei gesti che gli uomini talvolta
vogliono, ma non valgono a fare, o perché mancano delle membra necessarie, o perché queste sono
avvinte da legami, inerti per malattia o comunque impedite. Mi strappai cioè i capelli, mi percossi la
fronte, strinsi le ginocchia fra le dita incrociate, così facendo perché lo volevo. Avrei potuto volere e non
fare, se le membra non mi avessero ubbidito per impossibilità di muoversi. E mentre feci molti gesti, per i
quali volere non equivaleva a potere, non facevo il gesto che mi attraeva d’un desiderio
incomparabilmente più vivo e che all’istante, appena voluto, avrei potuto, perché all’istante, appena
voluto, l’avrei certo voluto. Lì possibilità e volontà si equivalevano, il solo volere era già fare. Eppure non
se ne faceva nulla: il corpo ubbidiva al più tenue volere dell’anima, muovendo a comando le membra, più
facilmente di quanto l’anima non ubbidisse a se stessa per attuare nella sua volontà una sua grande
volontà.
La volontà imperfetta
9. 21. Qual è l’origine di quest’assurdità? e quale la cau-sa?. M’illumini la tua misericordia, mentre
interrogherò, se mai possono rispondermi, le recondite pieghe delle miserie umane e le misteriosissime
pene che affliggono i figli di Adamo. Qual è l’origine di quest’assurdità? e quale la causa? Lo spirito
comanda al corpo, e subito gli si presta ubbidienza; lo spirito comanda a se stesso, e incontra resistenza.
Lo spirito comanda alla mano di muoversi, e il movimento avviene così facilmente, che non si riesce quasi
a distinguere il comando dall’esecuzione, benché lo spirito sia spirito, la mano invece corpo. Lo spirito
comanda allo spirito di volere, non è un altro spirito, eppure non esegue. Qual è l’origine di
quest’assurdità? e quale la causa? Lo spirito, dico, comanda di volere, non comanderebbe se non volesse,
eppure non esegue il suo comando. In verità non vuole del tutto, quindi non comanda del tutto. Comanda
solo per quel tanto che vuole, e il comando non si esegue per quel tanto che non vuole, poiché la volontà
comanda di volere, e non ad altri, ma a se stessa. E poiché non comanda tutta intera, non avviene ciò che
comanda; se infatti fosse intera, non si comanderebbe di essere, poiché già sarebbe. Non è dunque
un’assurdità quella di volere in parte, e in parte non volere; è piuttosto una malattia dello spirito, sollevato
dalla verità ma non raddrizzato del tutto perché accasciato dal peso dell’abitudine. E sono due volontà,
poiché nessuna è completa e ciò che è assente dall’una è presente nell’altra.
Confutazione della dottrina manichea delle due nature
10. 22. Scompaiano dalla tua vista, o Dio, così come scompaiono, i ciarlatani e i seduttori delle menti,
coloro che, avendo rilevato la presenza di due volontà nell’atto del deliberare, affermano l’esistenza di
due anime con due nature, l’una buona, l’altra malvagia. Essi sì sono davvero malvagi, poiché hanno
questi concetti malvagi, e non diverranno buoni, se non avendo concetti di verità e accettando la verità.
Allora potranno dirsi per loro le parole del tuo Apostolo: “Foste un tempo tenebre, ora invece luce nel
Signore”. Mentre vogliono essere luce, ma non nel Signore, bensì in se stessi, attribuendo alla natura
dell’anima un’essenza divina, sono divenuti tenebre più dense. La loro orrenda arroganza li allontanò più
ancora da te, da te, vero lume illuminante ogni uomo che viene in questo mondo. Badate a ciò che dite.
Arrossite e avvicinatevi a lui: riceverete la luce e i vostri volti non arrossiranno. Io, mentre stavo
deliberando per entrare finalmente al servizio del Signore Dio mio, come da tempo avevo progettato di
fare, ero io a volere, io a non volere; ero io, io. Da questa volontà incompleta e incompleta assenza di
volontà nasceva la mia lotta con me stesso, la scissione di me stesso, scissione che, se avveniva contro la
mia volontà, non dimostrava però l’esistenza di un’anima estranea, bensì il castigo della mia. Non ero
neppure io a provocarla, ma il peccato che abitava in me quale punizione di un peccato commesso in
maggiore libertà; poiché ero figlio di Adamo.
Agostino – Confessioni pag. 64 di 134