Page 67 - Confessioni
P. 67

10.  23.  Se  infatti  esistessero  tante  nature  contrarie  fra  loro  quante volontà opposte l’una all’altra, non
                  sarebbero solo due, ma molte. Allorché qualcuno sta deliberando se recarsi a un loro convegno oppure a
                  teatro, costoro gridano: “Ecco le due nature, una buona che lo invia qui, l’altra malvagia che lo rinvia là.
                  Quale origine diversa potrebbe avere questa esitazione di volontà in conflitto fra loro?”. Io affermo che
                  sono volontà malvagie entrambe, sia quella che lo invia a loro, sia quella che lo rinvia a teatro; essi invece
                  credono che non può essere se non buona quella che ci guida a loro. Come? Per uno che delibera, esitando
                  nell’alterco delle due volontà contrastanti, se recarsi a teatro o alla nostra chiesa, non esiteranno anch’essi
                  sulla risposta da dare? Infatti o confesseranno, ma non vogliono farlo, che la volontà buona ci spinge a
                  recarci  alla  nostra  chiesa,  come  vi  si  reca  chi  è  stato  iniziato  ai  suoi  sacramenti  e  vi  partecipa;  o
                  crederanno che si scontrano in un uomo solo due nature malvagie, due anime malvagie. Sarà in tal caso
                  smentita la loro asserzione consueta, che una natura è buona e l’altra malvagia; oppure si convertiranno
                  alla verità, ammettendo che nell’atto di deliberare una sola anima fluttua in balìa di volontà diverse.

                  10.  24. Non asseriscano dunque più, al vedere due volontà affrontarsi nel medesimo individuo, che si
                  tratta della contesa di due anime contrarie, una buona, l’altra malvagia, formate da due sostanze contrarie,
                  da due princìpi contrari: perché tu, Dio verace, li condanni, li confuti, li smascheri. Pensiamo al caso di
                  due volontà entrambe malvagie, quali si hanno in chi sta deliberando se uccidere un uomo col veleno o
                  con  un’arma,  se  appropriarsi  di  questo  o  di  quel  fondo  che  non  gli  appartengono  né  può  occupare
                  contemporaneamente; se comprare il piacere per lussuria o serbare il denaro per avarizia; se recarsi al
                  circo  o  a  teatro  quando  entrambi  diano  spettacolo  nella  medesima  giornata,  o,  aggiungendo  una  terza
                  eventualità, a rubare in casa d’altri, qualora si presenti l’occasione, o, aggiungendone pure una quarta, a
                  commettere  un  adulterio,  qualora  gli  si  apra  simultaneamente  una  possibilità  anche  da  quella  parte.
                  Ebbene,  si  concentrino  nel  medesimo  istante  tutte  assieme  queste  occasioni  e  siano  tutte  ugualmente
                  desiderate, eppure non possono essere simultaneamente sfruttate e si avrà un animo dilaniato da quattro
                  volontà in conflitto tra loro, o anche da più di quattro, potendo essere molte le cose desiderate, sebbene
                  questa gente di solito non parli di una moltitudine tanto grande di sostanze diverse. Così anche per le
                  volontà buone. Chiedo loro: “È bene godere della lettura dell’Apostolo? è bene godere della lettura di un
                  salmo  edificante? è bene dissertare sul Vangelo?”. Risponderanno ogni volta: “È bene”. Ma allora, se
                  queste tre attività piacessero tutte ugualmente e in un unico e medesimo istante, non si hanno volontà
                  diverse, che tirano in senso contrario il cuore dell’uomo nell’atto in cui delibera sulla cosa migliore da
                  fare? E tutte sono volontà buone e lottano tra loro finché non sia operata la scelta, su cui punti tutta la
                  volontà ridotta a una sola di molte in cui era divisa. Così ancora, quando l’eternità ci attrae in alto, mentre
                  il godimento di un bene temporale ci trattiene al basso, è la medesima anima a volere, ma non con tutta la
                  volontà, l’uno o l’altro dei due oggetti. Di qui le angosce penose che la dilaniano, perché la verità le fa
                  anteporre il primo, l’abitudine non le lascia deporre il secondo.


                  Penosa ascesa

                  11. 25. Ammalato nello spirito di questa malattia, mi tormentavo fra le accuse che mi rivolgevo da solo,
                  assai più aspre del solito, e i rigiri e le convulsioni entro la mia catena, che ancora non si spezzava del
                  tutto, che sottile ormai mi teneva, ma pure mi teneva. Tu, Signore, non mi davi tregua nel mio segreto.
                  Con  severa  misericordia  raddoppiavi  le  sferzate  del  timore  e  del  pudore,  per  impedire  un  nuovo
                  rilassamento,  che,  invece  di  spezzare  quel  solo  esiguo  e  tenue  legame  esistente  ancora,  l’avrebbe
                  rinvigorito da capo, e stretto me più saldamente. Mi dicevo fra me e me: “Su, ora, ora è il momento di
                  agire”; a parole ero ormai incamminato verso la decisione e stavo già quasi per agire, e non agivo. Non
                  ricadevo  però  al  punto  di  prima:  mi  fermavo  vicinissimo  e  prendevo  lena.  Seguiva  un  altro  tentativo
                  uguale al precedente, ancora poco ed ero là, ancora poco e ormai toccavo, stringevo la meta. E non c’ero,
                  non toccavo, non stringevo nulla. Esitavo a morire alla morte e a vivere alla vita; aveva maggior potere su
                  di  me  il  male  inoculato,  che  il  bene inusitato. L’istante stesso dell’attesa trasformazione quanto più si
                  avvicinava,  tanto  più  atterriva,  non  al  punto  di  ributtarmi  indietro  e  farmi  deviare,  ma  sì  di  tenermi
                  sospeso.

                  11. 26. A trattenermi erano le frivolezze delle frivolezze, le vanità delle vanità, antiche amiche mie, che
                  mi  tiravano  di  sotto  la  veste  di  carne  e  sussurravano  a  bassa  voce:  “Tu  ci  congedi?”,  e:  “Da  questo
                  momento non saremo più con te eternamente”, e: “Da questo momento non ti sarà più concesso di fare
                  questo e quell’altro eternamente”. E quali cose non mi suggerivano con ciò che ho chiamato “questo e
                  quell’altro”, quali cose non mi suggerivano, Dio mio! La tua misericordia le allontani dall’anima del tuo
                  servo. Quali sozzure non suggerivano, quali infamie! Ma io udivo ormai molto meno che a metà la loro





                  Agostino – Confessioni                                                    pag. 65 di 134
   62   63   64   65   66   67   68   69   70   71   72