Page 63 - Confessioni
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dal desiderio d’imitarlo, che era poi lo scopo per il quale Simpliciano me l’aveva narrata. Soggiunse un
                  altro particolare: che, poiché ai tempi dell’imperatore Giuliano un editto proibiva ai cristiani d’insegnare
                  letteratura onoraria, Vittorino, inchinandosi alla legge, aveva preferito abbandonare la scuola delle ciance
                  anziché la tua Parola, che rende eloquente la lingua di chi non sa parlare. A me però non parve che qui la
                  sua  forza  d’animo  fosse  stata  superiore  alla  sua  fortuna,  poiché  vi  trovò  l’occasione  per  dedicarsi
                  interamente a te. A tanto aspiravo io pure, impacciato non dai ferri della volontà altrui, ma dalla ferrea
                  volontà mia. Il nemico deteneva il mio volere e ne aveva foggiato una catena con cui mi stringeva. Sì,
                  dalla  volontà  perversa  si  genera  la  passione,  e  l’ubbidienza  alla  passione  genera  l’abitudine,  e
                  l’acquiescenza all’abitudine genera la necessità. Con questa sorta di anelli collegati fra loro, per cui ho
                  parlato di catena, mi teneva avvinto una dura schiavitù. La volontà nuova, che aveva cominciato a sorgere
                  in me, volontà di servirti gratuitamente e goderti, o Dio, unica felicità sicura, non era ancora capace di
                  soverchiare la prima, indurita dall’anzianità. Così in me due volontà, una vecchia, l’altra nuova, la prima
                  carnale, la seconda spirituale, si scontravano e il loro dissidio lacerava la mia anima.
                  5.  11.  L’esperienza  personale  mi  faceva  comprendere  le  parole  che  avevo  letto:  come  le  brame  della
                  carne  siano  opposte  allo  spirito,  e  quelle  dello  spirito  alla  carne.  Senza  dubbio  ero  io  nell’uno  e
                  nell’altra, ma più io in ciò che dentro di me approvavo, che in ciò che dentro di me disapprovavo. Qui
                  ormai  non  ero  più  io,  perché  subivo  piuttosto  contro  voglia,  anziché  agire  volontariamente.  Tuttavia
                  l’abitudine si era agguerrita a mio danno e per mia colpa, poiché volontariamente ero giunto dove non
                  avrei voluto. E con quale diritto si protesterà contro una pena, che a buon diritto segue un peccato? Non
                  potevo più invocare la scusa di un tempo, quando solevo persuadermi che, se ancora mancavo di spregiare
                  il mondo e servire te, era colpa dell’incerta percezione che avevo della verità. Ormai anche la verità era
                  certa. Rifiutavo di entrare nella tua milizia per i legami che ancora mi tenevano avvinto alla terra; temevo
                  di sbrigarmi di tutti i fardelli nel modo in cui bisogna temerne la briga.


                  Indugi

                  5. 12. Così il bagaglio del secolo mi opprimeva piacevolmente, come capita nei sogni. I miei pensieri, le
                  riflessioni su di te somigliavano agli sforzi di un uomo, che nonostante l’intenzione di svegliarsi viene di
                  nuovo  sopraffatto  dal  gorgo  profondo  del  sopore.  E  come  nessuno  vuole  dormire  sempre  e  tutti
                  ragionevolmente  preferiscono  al  sonno  la  veglia,  eppure  spesso,  quando  un  torpore  greve  pervade  le
                  membra, si ritarda il momento di scuotersi il sonno di dosso e, per quanto già dispiaccia, lo si assapora più
                  volentieri, benché sia giunta l’ora di alzarsi; così io ero sì persuaso della convenienza di concedermi al tuo
                  amore,  anziché  cedere  alla  mia  passione;  ma  se  l’uno  mi  piaceva  e  vinceva,  l’altro  mi  attraeva  e
                  avvinceva. Non sapevo cosa rispondere a queste tue parole: “Lèvati, tu che dormi, risorgi dai morti, e
                  Cristo t’illuminerà”; dovunque facevi brillare ai miei occhi la verità delle tue parole, ma io, pur convinto
                  della loro verità, non sapevo affatto cosa rispondere, se non, al più, qualche frase lenta e sonnolenta: “Fra
                  breve”, “Ecco, fra breve”, “Attendi un pochino”. Però quei “breve” e “breve” non avevano breve durata, e
                  quell’”attendi un pochino” andava per le lunghe. Invano mi compiacevo della tua legge secondo l’uomo
                  interiore,  quando  nelle  mie  membra  un’altra  legge  lottava  contro  la  legge del mio spirito e mi  traeva
                  prigioniero  sotto  la  legge  del  peccato  insita  nelle  mie  membra.  Questa  legge  del  peccato  è  la  forza
                  dell’abitudine, che trascina e trattiene l’anima anche suo malgrado in una soggezione meritata, poiché vi
                  cade  di  sua  volontà.  Chi  avrebbe  potuto  liberarmi,  nella  mia  condizione  miserevole,  da  questo  corpo
                  mortale, se non la tua grazia per mezzo di Gesù Cristo signore nostro?

                  I due racconti di Ponticiano

                  Condizioni di Agostino, Alipio e Nebridio

                  6. 13. Ebbene, ora narrerò come tu mi abbia liberato dalla catena del desiderio dell’unione carnale, che mi
                  teneva legato così strettamente, e dalla schiavitù degli affari secolari. Confesserò il tuo nome, Signore,
                  mio  soccorritore  e  mio  redentore.  Svolgevo  la  solita  attività,  ma  con  ansia  crescente.  Ogni  giorno
                  sospiravo verso di te e nel tempo esente dal peso degli affari, sotto cui gemevo, frequentavo la tua chiesa.
                  Con me era Alipio, che, libero dagli impegni di legale dopo essere stato assessore a tre riprese, stava
                  aspettando qualcuno, cui vendere ancora pareri come io vendevo l’arte del dire, se pure la si può fornire
                  con l’insegnamento. Quanto a Nebridio, cedendo alle sollecitazioni di noi amici, era divenuto assistente di
                  Verecondo, un maestro di scuola, cittadino milanese, intimo di noi tutti. Verecondo desiderava vivamente,
                  e  ce  ne  richiese  in  nome  dell’amicizia,  di  avere  dal  nostro  gruppo  quell’aiuto  fedele,  di  cui  troppo





                  Agostino – Confessioni                                                    pag. 61 di 134
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