Page 61 - Confessioni
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poi all’umiltà di Cristo, celata ai sapienti e rivelata ai piccoli, evocò i suoi ricordi di Vittorino, appunto, da
lui conosciuto intimamente durante il suo soggiorno a Roma. Quanto mi narrò dell’amico non tacerò,
poiché offre l’occasione di rendere grande lode alla tua grazia. Quel vecchio possedeva vasta dottrina ed
esperienza di tutte le discipline liberali, aveva letto e ponderato un numero straordinario di filosofi, era
stato maestro di moltissimi nobili senatori; così meritò e ottenne, per lo splendore del suo altissimo
insegnamento, un onore ritenuto insigne dai cittadini di questo mondo: una statua nel Foro romano. Fino a
quell’età aveva venerato gli idoli e partecipato ai sacrifici sacrileghi, da cui la nobiltà romana di allora
quasi tutta invasata, delirava per la dea del popolino di Pelusio e per mostri divini di ogni genere e per
Anubi l’abbaiatore, i quali un giorno
contro Nettuno e Venere e Minerva
presero le armi. Roma supplicava ora questi dèi dopo averli vinti, e il vecchio Vittorino li aveva difesi per
lunghi anni con eloquenza terrificante. Eppure non arrossì di farsi garzone del tuo Cristo e infante alla tua
fonte, di sottoporre il collo al giogo dell’umiltà, di chinare la fronte al disonore della croce.
2. 4. O Signore, Signore, che hai abbassato i cieli e sei disceso, hai toccato i monti e hanno emesso fumo,
con quali mezzi ti insinuasti in quel cuore? A detta di Simpliciano, leggeva la Sacra Scrittura, e tutti i testi
cristiani ricercava con la massima diligenza e studiava. Diceva a Simpliciano, non in pubblico, ma in gran
segreto e confidenzialmente: “Devi sapere che sono ormai cristiano”. L’altro replicava: “Non lo crederò
né ti considererò nel numero dei cristiani finché non ti avrò visto nella chiesa di Cristo”. Egli chiedeva
sorridendo: “Sono dunque i muri a fare i cristiani?”. E lo affermava sovente, di essere ormai cristiano, e
Simpliciano replicava sempre a quel modo, ed egli sempre ripeteva quel suo motto sui muri della chiesa.
In realtà si peritava di spiacere ai suoi amici, superbi adoratori del demonio, temendo che dall’alto della
loro babilonica maestà e da quei cedri, direi, del Libano, che il Signore non aveva ancora stritolato,
pesanti si sarebbero abbattute su di lui le ostilità. Ma poi dalle avide letture attinse una ferma risoluzione;
temette di essere rinnegato da Cristo davanti agli angeli santi, se avesse temuto di riconoscerlo davanti
agli uomini, e si sentì reo di un grave delitto ad arrossire dei sacri misteri del tuo umile Verbo, quando
non arrossiva dei sacrilegi di demòni superbi, da lui superbamente accettati e imitati. Perso il rispetto
verso il suo errore, e preso da rossore verso la verità, all’improvviso e di sorpresa, come narrava
Simpliciano, disse all’amico: “Andiamo in chiesa, voglio divenire cristiano”. Simpliciano, che non capiva
più in sé per la gioia, ve lo accompagnò senz’altro. Là ricevette i primi rudimenti dei sacri misteri; non
molto dopo diede anche il suo nome per ottenere la rigenerazione del battesimo, tra lo stupore di Roma e
il gaudio della Chiesa. Se i superbi s’irritavano a quella vista, digrignavano i denti e si maceravano, il tuo
servo aveva il Signore Dio sua speranza e non volgeva lo sguardo alle vanità e ai fallaci furori.
2. 5. Infine venne il momento della professione di fede. A Roma chi si accosta alla tua grazia recita da un
luogo elevato, al cospetto della massa dei fedeli una formula fissa imparata a memoria. Però i preti,
narrava l’amico, proposero a Vittorino di emettere la sua professione in forma privata, licenza che si
usava accordare a chi faceva pensare che si sarebbe emozionato per la vergogna. Ma Vittorino amò
meglio di professare la sua salvezza al cospetto della santa moltitudine. Da retore non insegnava la
salvezza, eppure aveva professato la retorica pubblicamente; dunque tanto meno doveva vergognarsi del
tuo gregge mansueto pronunciando la tua parola chi proferiva le sue parole senza vergognarsi delle turbe
insane. Così, quando salì a recitare la formula, tutti gli astanti scandirono fragorosamente in segno di
approvazione il suo nome, facendo eco gli uni agli altri, secondo che lo conoscevano. Ma chi era là, che
non lo conosceva? Risuonò dunque di bocca in bocca nella letizia generale un grido contenuto: “Vittorino,
Vittorino”; e come subito gridarono festosi al vederlo, così tosto tacquero sospesi per udirlo. Egli recitò la
sua professione della vera fede con sicurezza straordinaria. Tutti avrebbero voluto portarselo via dentro al
proprio cuore, e ognuno invero se lo portò via con le mani rapaci dell’amore e del gaudio.
L’esultanza per il bene faticosamente raggiunto
3. 6. Dio buono, cosa avviene nell’uomo, che per la salvezza di un’anima insperatamente liberata da grave
pericolo prova gioia maggiore che se avesse sempre conservato la speranza, o minore fosse stato il
pericolo? Invero anche tu, Padre misericordioso, gioisci maggiormente per un solo pentito che per
novantanove giusti, i quali non hanno bisogno di penitenza; e noi proviamo grande gioia all’udire ogni
volta che udiamo quanto esulta il pastore nel riportare sulle spalle la pecora errabonda, e come la dracma
sia riposta nei tuoi tesori fra le congratulazioni dei vicini alla donna che l’ha ritrovata; e ci fa piangere di
gioia la festa della tua casa, ogni volta che nella tua casa leggiamo del figlio minore che era morto ed è
Agostino – Confessioni pag. 59 di 134