Page 57 - Confessioni
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future, non potrebbero né allontanarsi né avvicinarsi, se tu non fossi attivo e stabile.

                  La perversione della volontà
                  16. 22. E capii per esperienza che non è cosa sorprendente, se al palato malsano riesce una pena il pane,
                  che al sano è soave; se agli occhi offesi è odiosa la luce, che ai vividi è amabile. La tua giustizia è sgradita
                  ai malvagi, e a maggior ragione le vipere e i vermiciattoli che hai creato buoni e in accordo con le parti
                  inferiori del tuo creato. A queste i malvagi stessi si accordano nella misura in cui non ti assomigliano,
                  mentre si accordano alle parti superiori nella misura in cui ti assomigliano. Ricercando poi l’essenza della
                  malvagità,  trovai  che  non  è  una  sostanza,  ma  la  perversione  della  volontà,  la  quale  si  distoglie  dalla
                  sostanza suprema, cioè da te, Dio, per volgersi alle cose più basse, e, ributtando le sue interiora, si gonfia
                  esternamente.


                  Ascesa all’Essere

                  17. 23. Ero sorpreso di amarti, ora, e più non amare un fantasma in tua vece. Ma non ero stabile nel
                  godimento del mio Dio. Attratto a te dalla tua bellezza, ne ero distratto subito dopo dal mio peso, che mi
                  precipitava gemebondo sulla terra. Era, questo peso, la mia consuetudine con la carne; ma portavo con me
                  il tuo ricordo. Non dubitavo minimamente dell’esistenza di un essere cui dovevo aderire, sebbene ancora
                  non ne fossi capace, perché il corpo corruttibile grava sull’anima, e la dimora terrena deprime lo spirito
                  con una folla di pensieri; ed ero assolutamente certo che quanto in te è invisibile, dalla costituzione del
                  mondo si scorge comprendendolo attraverso il creato, così come la tua virtù eterna e la tua divinità. Nel
                  ricercare infatti la ragione per cui apprezzavo la bellezza dei corpi sia celesti sia terrestri, e i mezzi di cui
                  dovevo disporre per formulare giudizi equi su cose mutevoli, allorché dicevo: “Questa cosa dev’essere
                  così, quella no”; nel ricercare dunque la spiegazione dei giudizi che formulavo giudicando così, scoprii al
                  di sopra della mia mente mutabile l’eternità immutabile e vera della verità. E così salii per gradi dai corpi
                  all’anima,  che  sente  attraverso  il  corpo,  dall’anima  alla  sua  potenza  interna,  cui  i  sensi  del  corpo
                  comunicano  la  realtà  esterna,  e  che  è  la  massima  facoltà  delle  bestie.  Di  qui  poi  salii  ulteriormente
                  all’attività razionale, al cui giudizio sono sottoposte le percezioni dei sensi corporei; ma poiché anche
                  quest’ultima  mia  attività  si  riconobbe  mutevole,  ascese  alla  comprensione  di  se  medesima.  Distolse
                  dunque  il  pensiero  dalle  sue  abitudini,  sottraendosi  alle  contradizioni  della  fantasia  turbinosa,  per
                  rintracciare sia il lume da cui era pervasa quando proclamava senza alcuna esitazione che è preferibile ciò
                  che non muta a ciò che muta, sia la fonte da cui derivava il concetto stesso d’immutabilità, concetto che in
                  qualche modo doveva possedere, altrimenti non avrebbe potuto anteporre con certezza ciò che non muta a
                  ciò che muta. Così giunse, in un impeto della visione trepida, all’Essere stesso. Allora finalmente scorsi
                  quanto in te è invisibile, comprendendolo attraverso il creato; ma non fui capace di fissarvi lo sguardo.
                  Quando, rintuzzata la mia debolezza, tornai fra gli oggetti consueti, non riportavo con me che un ricordo
                  amoroso e il rimpianto, per così dire, dei profumi di una vivanda che non potevo ancora gustare.


                  Cristo Gesù, unico Mediatore fra l’uomo e Dio

                  18. 24. Cercavo la via per procurarmi forza sufficiente a goderti, ma non l’avrei trovata, finché non mi
                  fossi aggrappato al mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che è sopra tutto Dio benedetto
                  nei secoli. Egli ci chiama e ci dice: “Io sono la via, la verità e la vita”; egli mescola alla carne il cibo che
                  non avevo forza di prendere, poiché  il Verbo si è fatto carne affinché la tua sapienza, con cui creasti
                  l’universo, divenisse latte per la nostra infanzia. Non avevo ancora tanta umiltà, da possedere il mio Dio,
                  l’umile Gesù, né conoscevo ancora gli ammaestramenti della sua debolezza. Il tuo Verbo, eterna verità
                  che s’innalza al di sopra delle parti più alte della creazione, eleva fino a sé coloro che piegano il capo;
                  però nelle parti più basse col nostro fango si edificò una dimora umile, la via per cui far scendere dalla
                  loro altezza e attrarre a sé coloro che accettano di piegare il capo, guarendo il turgore e nutrendo l’amore.
                  Così  impedì  che  per  presunzione  si  allontanassero  troppo,  e  li  stroncò  piuttosto  con  la  visione  della
                  divinità stroncata davanti ai loro piedi per aver condiviso la nostra tunica di pelle. Sfiniti, si sarebbero
                  reclinati su di lei, ed essa alzandosi li avrebbe sollevati con sé.


                  False opinioni di Agostino e Alipio su Cristo






                  Agostino – Confessioni                                                    pag. 55 di 134
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