Page 54 - Confessioni
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esito. Non permettevi però che le burrasche del pensiero mi strappassero mai alla fede. Credevo alla tua
                  esistenza, all’immutabilità della tua sostanza, al tuo governo sugli uomini, alla tua giustizia; che in Cristo,
                  tuo figlio, signore nostro, nonché nelle Sacre Scritture garantite dall’autorità della tua Chiesa cattolica fu
                  da  te  riposta  per  l’umanità  la  via  della  salvezza  verso  quella  vita,  che  ha  inizio  dopo  questa  morte.
                  Assicurati  e  consolidati  saldamente  nel  mio  animo  questi  princìpi,  ricercavo  febbrilmente  quale  fosse
                  l’origine del male. Che doglie per questo parto del mio cuore, che gemiti, Dio mio! E lì a mia insaputa eri
                  tu ad ascoltarli. Quando, tacito, mi tendevo nello sforzo della ricerca, erano alte le grida che salivano
                  verso la tua misericordia, i silenziosi spasimi del mio spirito. Tu conoscevi la mia sofferenza, degli uomini
                  nessuno. Una ben piccola parte del tormento la mia lingua riversava nelle orecchie dei miei amici più
                  stretti. Ma sentivano mai tutto intero il tumulto del mio spirito, se non mi bastava né il tempo né le parole
                  per esprimerlo? Giungeva però intero al tuo udito il ruggito del mio cuore gemebondo; davanti a te stava
                  il mio desiderio, il lume dei miei occhi non era con me. Era dentro di me, ma io fuori; non era in un luogo,
                  mentre io guardavo soltanto le cose contenute in un luogo, senza trovarvi un luogo ove posare. Tali cose
                  non mi accoglievano in modo che potessi dire: “Mi basta”, e: “Qui sto bene”; e neppure mi lasciavano
                  libero in modo che potessi tornare dove sarei stato bastantemente bene. Ero sì al di sopra delle cose, ma al
                  di sotto di te, mia vera gioia se mi assoggettavo a te, come avevi assoggettato a me le creature che hai
                  fatto sotto di me. Questo sarebbe stato l’equilibrio perfetto e il centro della mia salvezza: sarei rimasto
                  secondo la tua immagine e insieme, servendo te, avrei comandato il mio corpo. Ma per la mia superbia mi
                  sollevavo contro di te, mi lanciavo contro il mio Signore dietro lo scudo della mia dura cervice. Quindi
                  anche le creature infime mi montarono sopra, opprimendomi senza lasciare da nessuna parte sollievo e
                  respiro. Da sé mi venivano incontro a caterve, in masse compatte da ogni dove, se guardavo attorno; se mi
                  concentravo, immagini di corpi mi sbarravano da sé la via del ritorno, quasi dicendo: “Dove vai, essere
                  indegno e sordido?”. Erano tutte germinazioni della mia ferita. Hai umiliato il superbo come un ferito; il
                  mio tumore mi separava da te, le mie gote troppo gonfiate mi ostruivano gli occhi.


                  Dio medico rude, ma provvido

                  8. 12. Ma tu, Signore, permani in eterno, e non ti adiri in eterno verso di noi. Hai sentito pietà di questa
                  terra e cenere, piacque ai tuoi occhi di raccontare le mie sconcezze. Mi agitavi con pungoli interni per
                  rendermi insoddisfatto, finché al mio sguardo interiore tu fossi certezza. Il mio tumore scemava sotto la
                  cura della tua mano nascosta, la vista intorbidata e ottenebrata della mia mente guariva di giorno in giorno
                  sotto l’azione del collirio pungente di salutari dolori.
                  Incontro col neoplatonismo

                  Luci e ombre nei trattati neoplatonici

                  9.  13.  Anzitutto  volesti  mostrarmi  come  tu  resista  ai  superbi,  mentre  agli  umili  accordi  favore; e con
                  quanta misericordia tu abbia indicato agli uomini la via dell’umiltà, dal momento che il tuo Verbo si è
                  fatto carne e abitò in mezzo agli uomini. Per il tramite dunque di un uomo gonfio d’orgoglio smisurato mi
                  provvedesti alcuni libri dei filosofi platonici tradotti dal greco in latino. Vi trovai scritto, se non con le
                  stesse parole, con senso assolutamente uguale e col sostegno di molte e svariate ragioni, che al principio
                  era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio; egli era al principio presso Dio, tutto fu fatto
                  per mezzo suo e senza di lui nulla fu fatto; ciò che fu fatto è vita in lui, e la vita era la luce degli uomini, e
                  la  luce  nelle  tenebre,  e  le  tenebre  non  la  compresero;  poi,  che  l’anima  dell’uomo,  sebbene  renda
                  testimonianza del lume, non è tuttavia essa il lume, ma il Verbo, Dio, è il lume vero, il quale illumina
                  ogni uomo che viene in questo mondo; e che era in questo mondo, e il mondo fu fatto per mezzo suo, e il
                  mondo non lo conobbe. Che però egli venne a casa sua senza che i suoi lo accogliessero, ma a quanti lo
                  accolsero diede il potere di divenire figli di Dio, poiché credettero nel suo nome, non trovai scritto in quei
                  libri.
                  9.  14.  Così  trovai  scritto in quei libri che il Verbo Dio non da carne, non da sangue, non  da volontà
                  d’uomo né da volontà di carne, ma da Dio è nato; che però il Verbo si è fatto carne e abitò fra noi, non lo
                  trovai scritto in quei libri. Vi scoprii, certo, sotto espressioni diverse e molteplici, che il Figlio  per la
                  conformità col Padre non giudicò un’usurpazione la sua uguaglianza con Dio, propria a lui di natura; ma
                  il  fatto  che  si  annientò  da  sé,  assumendo  la  condizione  servile,  rendendosi  simile  agli  uomini  e
                  mostrandosi uomo all’aspetto; si umiliò prestando ubbidienza fino a morire, e a morire in croce, onde
                  Dio lo innalzò  dai morti  e gli donò un nome che sovrasta ogni nome, affinché al nome di Gesù ogni





                  Agostino – Confessioni                                                    pag. 52 di 134
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