Page 50 - Confessioni
P. 50
Libro settimo
VERSO LA VERITÀ
Il problema del male
L’arduo concetto di Dio
1. 1. Ormai la mia adolescenza sciagurata e nefanda era morta, e mi avviavo verso la maturità. Però,
quanto più crescevo nell’età della vita, tanto più scadevo nella fatuità del pensiero. Non riuscivo a pensare
una sostanza diversa da quella che si vede abitualmente con gli occhi. Da quando avevo cominciato a
udire qualcosa della sapienza, non t’immaginavo più, o Dio, sotto l’aspetto di corpo umano e mi
rallegravo, per la ripugnanza sempre provata verso questa concezione, di aver scoperto questa verità entro
la fede della nostra madre spirituale, la tua Chiesa cattolica. Non trovavo però un’altra forma, con cui
pensarti. Mi sforzavo di pensarti, io, un uomo, e quale uomo, te, il sommo e il solo e il vero Dio; ti
credevo con tutta l’anima incorruttibile, inviolabile, immutabile; pur ignorandone la causa e il modo,
riconoscevo chiaramente e sicuramente l’inferiorità di una cosa corruttibile rispetto ad una incorruttibile;
ponevo senza esitare una cosa inviolabile al di sopra di una violabile, e ritenevo le immutabili superiori
alle mutabili; il mio cuore strepitava violentemente contro tutte le mie vane fantasie, io cercavo di
allontanare col suo solo impeto dallo sguardo della mia mente la turba delle immonde immagini che le
svolazzavano attorno. Ma, appena scacciata, eccola di nuovo in un batter d’occhio avventarsi compatta
contro il mio sguardo e offuscarlo. Così, sebbene non in forma di corpo umano, ero tuttavia costretto a
pensarti come un che di corporeo esteso nello spazio, incluso nel mondo o anche diffuso per lo spazio
infinito oltre il mondo, esso pure incorruttibile e inviolabile e immutabile, cosicché lo anteponevo al
corruttibile e violabile e mutabile. Ciò perché, se non attribuivo a una cosa l’estensione in uno di tali
spazi, essa per me era nulla, letteralmente nulla e non un semplice vuoto, quale si ottiene togliendo da un
certo luogo un certo corpo, che rimane, il luogo, vuoto di qualsiasi corpo terrestre o acqueo o aereo o
celeste, ma pure sussiste un luogo vuoto, quasi un nulla provvisto di spazio.
1. 2. Così, tardo di mente, poco chiaro io stesso a me stesso, ritenevo che tutto quanto non fosse per un
certo spazio esteso o espanso o addensato o gonfio, provvisto o atto a provvedersi di una di tali qualità,
non fosse letteralmente nulla. Le immagini, attraverso cui si muoveva la mia mente, erano le medesime
per cui si muovono abitualmente i miei occhi; e non vedevo come questa stessa tensione interiore, con cui
formavo proprio quelle immagini, era cosa diversa da esse, eppure non le avrebbe formate, se non fosse
stata qualcosa di grande. Così concepivo persino te, vita della mia vita, come un vasto ente, che da ogni
dove penetra per spazi infiniti l’intera mole dell’universo e di là da essa si diffonde in ogni senso
attraverso spazi incommensurabili, senza limite; e in tal modo ti possedeva la terra, ti possedeva il cielo, ti
possedeva ogni cosa, e tutte erano definite dentro di te, ma tu in nessuna parte. Come la massa dell’aria, di
quest’aria che sovrasta la terra, non ostacola la luce del sole, impedendole di attraversarla e penetrarvi
senza squarci o fratture, ma anzi ne è tutta pervasa; così pensavo che la massa del cielo, dell’aria, del
mare, della terra stessa ti si aprisse e ti lasciasse penetrare per riceverti presente in ogni sua parte, grande
o piccola, poiché tu col tuo soffio invisibile governi e dall’esterno e dall’interno tutto il tuo creato.
Incapace d’immaginarmi diversamente le cose, andavo facendo di queste congetture: erano infatti falsità.
Secondo quei princìpi una porzione maggiore della terra conterrebbe una porzione maggiore di te, una
minore, una minore. Piene, sì, tutte le cose di te, il corpo di un elefante ti conterrebbe però in quantità
maggiore di un passero, e tanto maggiore, quanto è più grande un elefante di un passero e occupa uno
spazio più grande. Così tu ti sminuzzeresti negli elementi dell’universo, rendendo presente in ognuno una
parte di te, piccola o grande, secondo che essi sono piccoli o grandi. Non è così, ma non avevi ancora
illuminato le mie tenebre.
L’argomento di Nebridio contro la concezione manichea di Dio
2. 3. Mi sarebbe bastato, Signore, di usare contro quegli ingannatori ingannati e muti ciarlieri, poiché
dalla loro bocca non risuonava la tua parola, mi sarebbe bastato di usare l’argomento che fin dai tempi di
Cartagine soleva porre innanzi Nebridio, e che tutti ci aveva scossi, quanti l’avevamo udito: cosa avrebbe
potuto farti quella, chissà poi quale, genìa delle tenebre, che ti oppongono abitualmente come massa
Agostino – Confessioni pag. 48 di 134