Page 46 - Confessioni
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misericordiosissima, gli insegnasti a non riporre fiducia in sé, ma in te; però molto più tardi.

                  Brutta avventura di Alipio sospettato di furto
                  9. 14. La vicenda era tuttavia accantonata fin d’allora nella sua memoria come una medicina per il futuro.
                  Anche un altro fatto: che ancora durante i suoi studi a Cartagine e quando aveva già preso a frequentare le
                  mie lezioni, un giorno, mentre sul mezzodì, nella piazza, meditava un discorso da recitare a scuola per
                  esercizio, secondo l’usanza, lo lasciasti arrestare come ladro dai sorveglianti del foro, penso che tu, Dio
                  nostro,  non  l’abbia  permesso  per  altro  motivo,  se  non  per  questo:  che  quel  gentiluomo,  destinato  a
                  divenire  un  giorno  così  grande,  cominciasse  fin  d’allora  a  imparare  quanto  debba  rifuggire  da  una
                  temeraria  credulità  nel  condannare  un  altro  uomo  l’uomo  che  istruisce  un  processo.  Alipio  dunque
                  passeggiava  tutto  solo  davanti  al  tribunale,  le  tavolette  e  lo  stilo  fra  le  mani,  quand’ecco  un  giovane
                  studente, il ladro appunto, munito nascostamente di una scure si avvicina, non visto da lui, alla cancellata
                  di piombo che sovrasta la via degli orafi, e incomincia a scalpellare il metallo. Ai colpi della scure gli
                  orafi  che  si  trovavano  di  sotto  parlottarono  fra  loro  sommessamente  e  mandarono  alcuni  ad  arrestare
                  chiunque avessero trovato sul posto. Il ladro, udite le loro voci, se la svignò, abbandonando l’attrezzo per
                  paura di essere preso mentre l’aveva con sé; Alipio invece, che, come non l’aveva visto all’entrata, così lo
                  notò  all’uscita,  vedendo  che  si  allontanava  frettolosamente,  e  curioso  di conoscerne il motivo, entrò e
                  trovò  la  scure.  Fermo  in  piedi  la  stava  considerando  meravigliato,  quand’ecco  i  messi  degli  orafi  lo
                  sorprendono  solo  e  fornito  del  ferro,  ai  cui  colpi  si  erano  riscossi  ed  erano  partiti.  Lo  acciuffano,  lo
                  trascinano con sé, e di fronte agli abitanti della piazza, che s’erano radunati, si vantano di aver preso il
                  ladro in flagrante, poi si avviano per metterlo nelle mani della giustizia.

                  9. 15. Ma la lezione doveva finire qui. Tu, Signore, venisti immediatamente in soccorso dell’innocenza, di
                  cui eri l’unico testimone. Mentre Alipio veniva condotto in prigione o al supplizio, s’imbatte nel corteo un
                  architetto, soprintendente agli edifici pubblici. Le guardie si rallegrarono di aver incontrato proprio lui,
                  che era solito sospettarle dei furti accaduti nel foro: ora finalmente avrebbe riconosciuto chi era l’autore.
                  Senonché l’architetto aveva visto sovente Alipio in casa di un certo senatore, che abitualmente andava a
                  ossequiare; e appena lo ebbe riconosciuto, lo prese per mano, lo trasse in disparte dalla folla e gli chiese il
                  motivo di un guaio così grosso. Udito il racconto dell’accaduto, ordinò agli astanti, che tumultuavano e
                  rumoreggiavano minacciosamente, di seguirlo. Giunsero così all’abitazione del giovane delinquente. Sulla
                  porta stava uno schiavo così tenerello, da poter rivelare facilmente tutto il caso senza sospettare che ne
                  venisse del danno al padrone. Infatti lo aveva accompagnato nella piazza. Anche Alipio lo riconobbe e ne
                  avvertì  l’architetto.  Questi  mostrò  al  fanciullo  la  scure,  domandandogli  di  chi  era.  “È  nostra”,  rispose
                  immediatamente il fanciullo. Più tardi, interrogato, rivelò il resto. Così l’accusa ricadde su quella casa,
                  con grande smacco della folla, che aveva già incominciato il suo trionfo su Alipio. Il futuro dispensatore
                  della tua parola e giudice di molte cause nella tua Chiesa ne uscì più esperto e più agguerrito.


                  Alipio assessore giudiziario a Roma

                  10. 16. A Roma, quando lo incontrai, Alipio si legò a me della più stretta amicizia e partì con me alla
                  volta di Milano sia per non lasciarmi, sia per mettere a frutto le nozioni di diritto che aveva appreso,
                  secondo il desiderio dei genitori più che suo. Aveva già esercitato per tre volte la mansione di assessore
                  giudiziario, meravigliando i colleghi con la sua integrità, ma meno di quanto si meravigliava lui di essi,
                  che anteponevano l’oro alla rettitudine. Il suo carattere fu pure messo alla prova non solo con la seduzione
                  della cupidigia, ma anche col pungolo della paura. A Roma era assessore presso il conte preposto alle
                  finanze italiche. Viveva in quel tempo un senatore potentissimo, che si teneva molta gente legata con i
                  benefici e soggetta con l’intimidazione. Costui pensò di permettersi, secondo l’usanza dei potentati suoi
                  pari, non so quale atto non permesso dalla legge. Alipio gli resistette. Gli fu promessa una ricompensa, ed
                  egli ne rise di cuore; furono proferite minacce, ed egli le calpestò, con ammirazione di tutti verso un ardire
                  non comune, indifferente all’amicizia e imperturbabile all’inimicizia di un personaggio tanto potente e
                  notissimo per le infinite possibilità che aveva così di giovare come di nuocere. Lo stesso giudice di cui era
                  consigliere,  per  quanto  contrario  egli  pure  alle  richieste  del  senatore,  tuttavia  non  osava  opporsi
                  apertamente.  Addossava  la  responsabilità  ad  Alipio,  si  diceva  impedito  da  lui  perché,  ed  era  vero,
                  l’avrebbe avversato, se per conto suo avesse ceduto. Una sola passione per poco non l’aveva sedotto, la
                  letteratura,  per  la  quale  fu  tentato  di  farsi  trascrivere  alcuni  codici  usando  la  cassa  del  tribunale.
                  Interpellata  però  la  virtù  della  giustizia,  mutò  in  meglio  il  suo  parere,  giudicando  più  vantaggiosa  la
                  rettitudine, che glielo proibiva, della possibilità, che glielo permetteva. È cosa da poco? Ma chi è fedele




                  Agostino – Confessioni                                                    pag. 44 di 134
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