Page 45 - Confessioni
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passione per il circo, ero profondamente afflitto dal pensiero che avrebbe guastato, se non l’aveva già
                  fatto,  le  più belle speranze; ma come ammonirlo o richiamarlo duramente, se non potevo giovarmi né
                  dell’affetto di un amico, né dell’autorità di un maestro? Supponevo infatti che nutrisse verso di me gli
                  stessi sentimenti del padre. Invece non era così, tanto che pospose in questa faccenda la volontà paterna e
                  prese a salutarmi, frequentando la mia aula, ove mi ascoltava un po’ di tempo, per poi allontanarsi.

                  7. 12. A me però era ormai caduto dalla memoria il proposito di agire su di lui per impedire alla sua
                  passione cieca e irruente degli spettacoli insulsi di stroncare disposizioni tanto buone. Ma non tu, Signore,
                  che governi il timone di ogni tua creatura, avevi dimenticato come dovesse diventare pontefice del tuo
                  sacramento fra i tuoi figli; e perché il suo ravvedimento fosse ascritto inequivocabilmente a te, lo attuasti
                  per mio tramite, ma senza un mio proposito. Un giorno sedevo al mio solito posto, gli allievi di fronte a
                  me, quando entrò, salutò, sedette e cominciò a seguire la trattazione in corso. Io tenevo per caso fra mano
                  un  testo,  e  nel  commentarlo  pensai  bene  di  trarre  un  paragone  dai  giochi  del  circo  per  rendere  più
                  piacevole  e  chiara  l’idea  che  volevo  inculcare,  schernendo  mordacemente  le  vittime  di  quella  follia.
                  Allora, tu sai, Dio nostro, non pensavo a guarire Alipio dalla sua peste; senonché egli si appropriò delle
                  mie parole come se le avessi pronunciate espressamente per lui; e se altri ne avrebbe tratto motivo di
                  risentimento verso di me, quel giovane virtuoso ne trasse motivo di risentimento verso di sé e d’amore più
                  ardente verso di me. Tu avevi detto un tempo e inserito nelle tue Scritture queste parole: Rimprovera il
                  saggio,  ed egli ti amerà; ma io non avevo rimproverato quel giovane. Tu invece, che ti servi di tutti,
                  coscienti  o  incoscienti,  secondo  l’ordinato  disegno  da  te  conosciuto,  e  giusto  disegno,  facesti  del  mio
                  cuore e della mia lingua altrettanti carboni ardenti per cauterizzare la piaga devastatrice di quell’anima
                  ricca  di  buone  speranze,  e  guarirla.  Non  canti  le  tue  lodi  chi  non  riconosce  gli  atti  della  tua
                  commiserazione; essi ti rendono merito dalle più intime fibre del mio essere. Alipio, dunque, dietro il
                  suono di quelle parole si gettò fuori dalla fossa profondissima, in cui affondava compiaciuto e con strano
                  diletto si privava della luce; scosse il suo spirito con vigorosa temperanza, e ne schizzarono lontano tutte
                  le  sozzure  del  circo,  ove  non  mise  più  piede;  quindi,  vincendo  le  resistenze  del  padre,  mi  prese  per
                  maestro. Il padre non dissentì, anzi acconsentì, e Alipio, tornando a frequentare le mie lezioni, cadde con
                  me  nella  rete  delle  superstizioni  manichee.  Nei  manichei  ammirava  l’austerità  che  ostentavano  e  che
                  invece  credeva  reale  e  genuina,  mentre  era  un’esca  insana  per  accalappiare  le  anime  valorose  ancora
                  incapaci di attingere le vette della virtù e inclini a lasciarsi ingannare dall’esteriorità di una virtù solo
                  adombrata e finta.


                  Alipio travolto dalla passione del circo

                  8. 13. Senza abbandonare davvero la via del mondo, a lui decantata dai suoi genitori, mi aveva preceduto
                  a  Roma  con  l’intenzione  di  apprendervi  il  diritto.  E  là  in  circostanze  stravaganti  venne  travolto  dalla
                  stravagante passione per gli spettacoli gladiatori. Mentre evitava e detestava quel genere di passatempi,
                  incontrò  per  strada  certi  suoi  amici  e  condiscepoli,  che  per  caso  tornavano  da  un  pranzo  e  che  lo
                  condussero  a  forza,  come  si  fa  tra  compagni,  malgrado  i  suoi  vigorosi  dinieghi  e  la  sua  resistenza,
                  all’anfiteatro, ov’era in corso la stagione dei giochi efferati e funesti. Diceva: “Potete trascinare in quel
                  luogo e collocarvi il mio corpo, ma potrete puntare il mio spirito e i miei occhi su quegli spettacoli? Sarò
                  là, ma lontano, così avrò la meglio e su di voi e su di essi”; ma non per questo gli altri rinunciarono a
                  tirarselo  dietro,  forse  curiosi  di  vedere  se  appunto  riusciva  a  realizzare  il  suo  proposito.  Ora,  quando
                  giunsero  a  destinazione  e  presero  posto  come  poterono,  ovunque  erano  scatenate  le  più  bestiali
                  soddisfazioni. Egli impedì al suo spirito di avanzare in mezzo a tanto male, chiudendo i battenti degli
                  occhi: oh, avesse tappato anche le orecchie! Quando, a una certa fase del combattimento, l’enorme grido
                  di tutto il pubblico violentemente lo urtò, vinto dalla curiosità, credendosi capace di dominare e vincere,
                  qualunque fosse, anche la visione, aprì gli occhi. La sua anima ne subì una ferita più grave di quella subìta
                  dal corpo di colui che volle guardare, e cadde più miseramente di colui che con la propria caduta aveva
                  provocato il grido. Questo, penetrato attraverso le orecchie, spalancò gli occhi per aprire una breccia al
                  colpo che avrebbe abbattuto quello spirito ancora più temerario che robusto, tanto più debole, quanto più
                  aveva contato su di sé invece che su di te, come avrebbe dovuto fare. Vedere il sangue e sorbire la ferocia
                  fu tutt’uno, né più se ne distolse, ma tenne gli occhi fissi e attinse inconsciamente il furore, mentre godeva
                  della gara criminale e s’inebriava di una voluttà sanguinaria. Non era ormai più la stessa persona venuta al
                  teatro, ma una delle tante fra cui era venuta, un degno compare di coloro che ve lo avevano condotto. Che
                  altro  dire?  Osservò  lo  spettacolo,  gridò,  divampò,  se  ne  portò  via  un’eccitazione  forsennata,  che  lo
                  stimolava a tornarvi non solo insieme a coloro che lo avevano trascinato la prima volta, ma anche più di
                  coloro,  e  trascinandovi  altri.  Eppure  tu  lo  sollevasti  da  quell’abisso  con  la  tua  mano  potentissima  e





                  Agostino – Confessioni                                                    pag. 43 di 134
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