Page 55 - Confessioni
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ginocchio si pieghi in cielo, in terra, agli inferi, e ogni lingua confessi che il Signore Gesù sta nella
                  gloria di Dio Padre, non è contenuto in quei libri. Vi si trova che il tuo Figlio unigenito esiste immutabile
                  fin da prima di ogni tempo e oltre ogni tempo, eterno con te; che le anime attingono la felicità dalla sua
                  pienezza  e  acquistano  la  sapienza  rinnovandosi  grazie  alla  partecipazione  della  sapienza  in  se  stessa
                  stabile; ma il fatto che morì nel tempo per i peccatori, e invece di risparmiare il tuo unico Figlio, lo hai
                  consegnato per noi tutti, non si trova in quei libri. Infatti celasti queste verità ai sapienti e le rivelasti ai
                  piccoli, per attrarre quanti soffrono e sono oppressi a lui, che li ristori, poiché è mite e umile di cuore e
                  guiderà  i  miti  nella  giustizia,  insegna  ai  mansueti  le  sue  vie,  osservando  la  nostra  umiltà  e  la  nostra
                  sofferenza, rimettendoci tutti i nostri peccati. Ma quanti, innalzandosi sul coturno di una scienza a loro
                  dire più sublime, non ne odono le parole: Imparate da me, poiché sono mite e umile di cuore, e troverete
                  il riposo per le vostre anime, sebbene conoscano Dio, non lo glorificano né ringraziano come Dio, bensì
                  si disperdono nei loro vani pensieri, e il loro cuore insipiente si ottenebra. Proclamandosi saggi, si resero
                  stolti.
                  9. 15. Perciò trovavo in quei libri anche la gloria della tua incorruttibilità, trasformata in idoli e simulacri
                  di ogni genere foggiati a immagine dell’uomo corruttibile e degli uccelli e dei quadrupedi e dei serpenti.
                  Vi  si  può  vedere  il  piatto  egiziano,  per  cui  Esaù  perdette  i  privilegi  della  primogenitura:  il  popolo
                  primogenito onorò in tua vece la testa di un quadrupede, col cuore rivolto in Egitto e la tua immagine, la
                  sua anima, curva innanzi all’immagine di un vitello che si ciba di fieno. Trovai queste cose in quei libri, e
                  non  me  ne  cibai.  Ti  piacque,  Signore,  di  togliere  a  Giacobbe  l’onta  della  sua  inferiorità,  affinché  il
                  maggiore servisse al minore; chiamasti le genti alla tua eredità. Quindi io, venuto a te dalle genti, fissai il
                  mio sguardo sull’oro che per tuo volere il popolo prediletto asportò dall’Egitto, poiché, dovunque era, era
                  cosa tua. Dicesti agli ateniesi per bocca del tuo Apostolo che noi in te viviamo e ci muoviamo e stiamo,
                  come dissero anche certuni fra i loro autori, e senza dubbio quei libri provenivano di là. Così non prestai
                  attenzione agli idoli degli egiziani, cui sacrificavano col tuo oro coloro che trasformarono la verità di Dio
                  in menzogna, adorarono e servirono la creatura anziché il creatore.

                  La luce della verità nell’uomo interiore
                  10. 16. Ammonito da quegli scritti a tornare in me stesso, entrai nell’intimo del mio cuore sotto la tua
                  guida; e lo potei, perché divenisti il mio soccorritore. Vi entrai e scorsi con l’occhio della mia anima, per
                  quanto  torbido  fosse,  sopra  l’occhio  medesimo  della  mia  anima,  sopra  la  mia  intelligenza,  una  luce
                  immutabile. Non questa luce comune, visibile a ogni carne, né della stessa specie ma di potenza superiore,
                  quale sarebbe la luce comune se splendesse molto, molto più splendida e penetrasse con la sua grandezza
                  l’universo. Non così era quella, ma cosa diversa, molto diversa da tutte le luci di questa terra. Neppure
                  sovrastava la mia intelligenza al modo che l’olio sovrasta l’acqua, e il cielo la terra, bensì era più in alto di
                  me, poiché fu lei a crearmi, e io più in basso, poiché fui da lei creato. Chi conosce la verità, la conosce, e
                  chi la conosce, conosce l’eternità. La carità la conosce. O eterna verità e vera carità e cara eternità, tu sei
                  il mio Dio, a te sospiro giorno e notte. Quando ti conobbi la prima volta, mi sollevasti verso di te per
                  farmi vedere come vi fosse qualcosa da vedere, mentre io non potevo ancora vedere; respingesti il mio
                  sguardo malfermo col tuo raggio folgorante, e io tutto tremai d’amore e terrore. Mi scoprii lontano da te in
                  una regione dissimile, ove mi pareva di udire la tua voce dall’alto: “Io sono il nutrimento degli adulti.
                  Cresci, e mi mangerai, senza per questo trasformarmi in te, come il nutrimento della tua carne; ma tu ti
                  trasformerai  in  me”.  Riconobbi  che  hai  ammaestrato  l’uomo  per  la  sua  cattiveria  e  imputridito  come
                  ragnatela l’anima mia. Chiesi: “La verità è dunque un nulla, poiché non si estende nello spazio sia finito
                  sia infinito?”; e tu mi gridasti da lontano: “Anzi, io sono colui che sono “. Queste parole udii con l’udito
                  del cuore. Ora non avevo più motivo di dubitare. Mi sarebbe stato più facile dubitare della mia esistenza,
                  che dell’esistenza della verità, la quale si scorge comprendendola attraverso il creato.


                  L’esistenza di Dio e delle cose

                  11. 17. Osservando poi tutte le altre cose poste al di sotto di te, scoprii che né esistono del tutto, né non
                  esistono  del  tutto.  Esistono,  poiché  derivano  da  te;  e  non  esistono,  poiché  non  sono  ciò  che  tu  sei,  e
                  davvero esiste soltanto ciò che esiste immutabilmente.  Il mio bene è l’unione con Dio, poiché, se non
                  rimarrò in lui, non potrò rimanere neppure in me. Egli invece rimanendo stabile in sé, rinnova ogni cosa.
                  Tu sei il mio Signore, perché non hai bisogno dei miei beni.






                  Agostino – Confessioni                                                    pag. 53 di 134
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