Page 53 - Confessioni
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l’amico più caro, intorno a certi suoi interessi, su cui fondava vistose speranze mondane, chiedendo il mio
                  parere secondo le sue, come si dice, “costellazioni”. Io, che in materia avevo già cominciato a pencolare
                  verso l’opinione di Nebridio, pur non rifiutandomi di fare qualche congettura e di manifestare i pronostici
                  che si affacciavano alla mia mente dubbiosa, soggiunsi che ormai ero pressoché convinto della ridicola
                  vanità di quelle pratiche. Allora egli mi narrò di suo padre, divoratore di trattati d’astrologia, che aveva un
                  amico, non meno di lui e insieme a lui cultore di quegli studi. In preda alla medesima curiosità, i due si
                  rinfocolavano  a  vicenda  l’ardente  passione  che  in  cuore  nutrivano  per  tali  sciocchezze,  al  punto
                  d’osservare persino il momento in cui nelle proprie dimore nascevano gli animali bruti, e d’annotare la
                  posizione allora occupata dagli astri allo scopo di raccogliere dati sperimentali di quella che chiamavano
                  scienza. Ebbene, da suo padre mi diceva di aver udito raccontare che nel periodo in cui sua madre portava
                  lui, Firmino, in seno, anche una domestica dell’amico di suo padre era ugualmente gravida. Il fatto non
                  poteva  sfuggire  al  padrone,  se badava a rilevare con estrema cura ed esattezza anche i parti delle sue
                  cagne. Così i due amici calcolarono mediante le più scrupolose osservazioni i giorni, le ore e più minute
                  frazioni  di  ore,  l’uno  per  la  consorte,  l’altro  per  la  fantesca.  Avvenne  poi  che  ambedue  le  donne  si
                  sgravassero nel medesimo istante, e così furono costretti a comporre un oroscopo uguale fin nei più minuti
                  particolari per entrambi i neonati, per il figlio l’uno, per il piccolo schiavo l’altro. Infatti, allorché le due
                  donne cominciarono ad avvertire le prime doglie, essi si annunciarono quanto avveniva in casa propria e
                  predisposero  alcuni  messaggeri  da  inviarsi  a  vicenda  non  appena  fosse  stata  annunziata  a  ciascuno  la
                  nascita del piccolo. Era stato facile per loro ottenere un annunzio immediato come re nel proprio regno; e
                  asseriva Firmino che i messaggeri partiti dalle due case s’incontrarono a metà strada, tanto che né l’uno né
                  l’altro  riuscì  a  notare  alcuna  differenza  nella  posizione  degli  astri  e  nelle  particelle  del  tempo.  Ciò
                  nonostante Firmino, per essere nato in una famiglia di nobiltà locale, percorreva rapidamente le strade più
                  nette del mondo, si arricchiva ogni giorno più e ascendeva a onori sublimi, mentre lo schiavo, che non si
                  era scrollato minimamente di dosso il giogo della sua condizione, continuava a servire i padroni, come
                  testimoniava Firmino stesso, che lo conosceva.

                  6. 9. All’udire il racconto del fatto, cui, per la qualità del narratore, non potevo non prestare fede, tutte le
                  mie  resistenze  si  dissolsero  e  crollarono.  Dapprima  mi  provai  a  distogliere  lo  stesso  Firmino  da  quel
                  morboso interesse. Gli feci rilevare come nell’esame fatto delle sue costellazioni, per potergli predire la
                  verità avrei dovuto scorgere quanto meno la posizione eminente dei genitori nel parentado, la nobiltà della
                  famiglia  al  suo  paese,  i  natali  onesti,  l’educazione  onorevole  e  l’istruzione  da  uomo  libero  che  aveva
                  ricevuto. Consultato invece dallo schiavo in base alle medesime costellazioni, valide anche per lui, ora
                  avrei dovuto scorgervi, per rivelare a lui pure la verità, una famiglia di condizione infima, lo stato servile
                  e ogni altro elemento ben diverso e lontano dai precedenti. Sarebbe allora accaduto che con le medesime
                  osservazioni  avrei  dovuto  dare  risposte  diverse  per  rispondere  il  vero,  mentre,  se  avessi  dato  risposte
                  uguali,  avrei  risposto  il  falso.  Una  conclusione  al  tutto  certa  s’imponeva:  i  responsi  veritieri  ricavati
                  dall’osservazione  delle  costellazioni  non  derivano  dall’arte,  ma  dalla  sorte;  i  falsi  non  da  ignoranza
                  dell’arte, ma da inganno della sorte.
                  6. 10. Poi, trovata la via ormai aperta, mi diedi a ruminare fra me la faccenda per parare le obiezioni che
                  poteva  muovere  qualcuno  dei  folli  che  traggono  un  lucro  dall’astrologia,  e  che  desideravo  assalire,
                  ridicolizzare, confutare senza indugio. Avrebbero potuto insinuare che Firmino mi aveva raccontato delle
                  fole, o le aveva raccontate a lui il padre. Quindi mi volsi a considerare il caso dei gemelli. In generale
                  l’uscita dell’uno dal seno materno segue quella dell’altro a un intervallo di tempo così breve, che, per
                  quanti  sforzi  si  facciano  per  dargli  un  valore  nel  corso  naturale  delle  cose,  sfugge  in  ogni  caso
                  all’osservazione dell’uomo e non può assolutamente essere rilevato nei segni che l’astrologo esaminerà
                  per trarne un pronostico veritiero. Ma veritiero non sarà, poiché dall’esame degli stessi segni un astrologo
                  avrebbe  dovuto  predire  la  stessa  sorte  per  Esaù  e  Giacobbe,  che  ebbero  sorte  diversa.  Le  predizioni
                  sarebbero  state  sbagliate,  o,  se  giuste,  sarebbero  dovute  essere  diverse,  mentre  le  osservazioni  erano
                  uguali. Dunque l’astrologo avrebbe predetto il vero non per arte, ma per buona sorte. In realtà tu, Signore,
                  regolatore  giustissimo  dell’universo,  all’insaputa  dei  consultori  e  dei  consultati,  con  un’ispirazione
                  misteriosa  fai  sempre  udire  a  chi  si  consulta,  dall’abisso  di  giustizia  del  tuo  giudizio,  la  risposta
                  vantaggiosa per lui secondo gli occulti meriti delle anime. Nessun uomo ti domandi: “Che è ciò?”, “A che
                  ciò?”. Non lo domandi, non lo domandi, perché è un uomo.


                  Una ricerca penosa

                  7. 11. Così, mio soccorritore, mi avevi liberato da questi ceppi. Ora ricercavo l’origine del male, senza





                  Agostino – Confessioni                                                    pag. 51 di 134
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