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Ricordo e immagine

                  15.  23.  L’operazione  avviene  per  immagini  o  no? Difficile dirlo. Pronuncio ad esempio il nome della
                  pietra  o  del  sole,  mentre  gli  oggetti  non  sono  presenti  in  sé  ai  miei  sensi:  nella  memoria  però  sono
                  certamente disponibili le loro immagini. Pronuncio il nome del dolore fisico, quando neppure esso mi è
                  presente, poiché non provo alcun dolore: ma se non avessi presente nella memoria la sua immagine, non
                  saprei cosa mi dico, e nel discutere non saprei distinguerlo dal piacere. Pronuncio ora il nome della salute
                  fisica, mentre sono fisicamente sano. La cosa in sé mi è presente, tuttavia non potrei affatto ricordare il
                  significato del suono di questo nome, se non si trovasse anche la sua rappresentazione nella mia memoria;
                  e gli ammalati, sentendo nominare la salute, non la riconoscerebbero, se la facoltà della loro memoria non
                  conservasse la medesima rappresentazione anche quando la cosa in sé è assente dal corpo. Pronuncio il
                  nome dei numeri usati per calcolare, ed ecco che stanno nella mia memoria non già in immagine, ma in sé.
                  Pronuncio il nome di immagine del sole, ed essa è presente nella mia memoria: rievoco infatti non già
                  un’immagine  d’immagine  del  sole,  ma  l’immagine  in  sé,  ed  essa  è  disponibile  in  sé  al  mio  ricordo.
                  Pronuncio il nome della memoria, e riconosco ciò che nomino. Dove lo riconosco, se non nella memoria
                  stessa? E proprio la memoria sarebbe presente a sé con la sua immagine, invece che in se stessa?

                  g) l’oblio.
                  16.  24.  Ma  allora,  quando  nomino  l’oblio,  riconoscendo  contemporaneamente  ciò  che  nomino,  lo
                  riconoscerei,  se  non  lo  ricordassi?  Non  parlo  del  semplice  suono  di  questa  parola,  ma  della  cosa  che
                  indica, dimenticata la quale, non varrei certamente a riconoscere cosa vale quel suono. Dunque, quando
                  ricordo la memoria, proprio la memoria è in sé presente a se stessa; allorché invece ricordo l’oblio, sono
                  presenti e la memoria e l’oblio: la memoria, con cui ricordo; l’oblio, che ricordo. Ma cos’è l’oblio, se non
                  privazione di memoria? Come dunque può essere presente, affinché lo ricordi, se la sua presenza mi rende
                  impossibile ricordare? Eppure, se è vero che conserviamo nella memoria quanto ricordiamo e che, privi
                  del ricordo dell’oblio, non potremmo assolutamente riconoscere la cosa udendo pronunciare il nome, la
                  memoria conserva l’oblio. Così abbiamo presente, per non dimenticare, ciò che con la sua presenza ci fa
                  dimenticare. Dovremo quindi intendere che non si trova nella memoria proprio l’oblio in sé, quando lo
                  ricordiamo, bensì la sua immagine, poiché la presenza diretta dell’oblio ci farebbe non già ricordare, ma
                  obliare? Chi potrà mai indagare questo fatto? chi comprendere come stanno le cose?

                  16.  25.  Io,  Signore,  certamente  mi  arrovello  su  questo  fatto,  ossia  mi  arrovello  su  me  stesso.  Sono
                  diventato per me un terreno aspro, che mi fa sudare abbondantemente. Non stiamo scrutando le regioni
                  celesti,  né  misurando le distanze degli astri o cercando la ragione dell’equilibrio terrestre. Chi ricorda
                  sono io, io lo spirito. Non è così strano che sia lungi da me tutto ciò che non sono io; ma c’è nulla più
                  vicino a me di me stesso? Ed ecco che invece non posso comprendere la natura della mia memoria mentre
                  senza di quella non potrei nominare neppure me stesso. Cosa dovrei dire, infatti, quando sono certo di
                  ricordare l’oblio? Dovrei dire che ciò che rammento non sta nella mia memoria, oppure che l’oblio sta
                  nella mia memoria allo scopo di farmi obliare? Ipotesi entrambe assurdissime. E questa terza: potrei dire
                  che  la  mia  memoria  afferra  l’immagine  dell’oblio,  non  l’oblio  in  sé,  quando  me  ne  rammento?  Potrei
                  dirlo, mentre per imprimere l’immagine di qualsiasi cosa nella memoria occorre prima la presenza reale
                  della cosa, da cui parte l’immagine per imprimersi nella memoria? Così ricordo Cartagine, tutti i luoghi
                  ove vissi, la fisionomia delle persone che incontrai; così le cose che mi hanno riferito anche gli altri sensi,
                  così la stessa salute o la sofferenza fisica. Quando erano presenti tutte queste cose, la memoria ne colse le
                  immagini,  rendendomi  possibile  di  contemplarle  come  ancora  presenti  e  riconsiderarle  con  lo  spirito,
                  ricordandole anche assenti. Se dunque la memoria conserva non proprio l’oblio in sé, ma la sua immagine,
                  l’oblio fu pure presente, affinché si potesse coglierne l’immagine. Ma se era presente, come iscriveva la
                  sua immagine nella memoria, quando con la sua presenza cancella tutto ciò che vi trova già impresso,
                  l’oblio?  Eppure  in  qualche  modo,  in  modo  sia  pure  incomprensibile  e  inesplicabile,  sono  certo  di
                  ricordare anche l’oblio stesso, affossatore di ogni nostro ricordo.


                  Ricerca di Dio oltre la memoria

                  17. 26. La facoltà della memoria è grandiosa. Ispira quasi un senso di terrore, Dio mio, la sua infinita e
                  profonda complessità. E ciò è lo spirito, e ciò sono io stesso. Cosa sono dunque, Dio mio? Qual è la mia
                  natura? Una vita varia, multiforme, di un’immensità poderosa. Ecco, nei campi e negli antri, nelle caverne
                  incalcolabili della memoria, incalcolabilmente popolate da specie incalcolabili di cose, talune presenti per




                  Agostino – Confessioni                                                    pag. 85 di 134
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