Page 37 - Confessioni
P. 37

incredibilmente sciocche, che la legge dovrebbe punire, se non avessero il patrocinio della tradizione. Ciò
                  rivela una miseria ancora maggiore, se compiono come lecita un’azione che per la tua legge eterna non lo
                  sarà mai, e pensano di agire impunemente, mentre la stessa cecità del loro agire costituisce un castigo;
                  così quanto subiscono è incomparabilmente peggio di quanto fanno. Io, che da studente non avevo mai
                  voluto  contrarre  simili  abitudini,  da  maestro  ero  costretto  a  tollerarle  negli  altri.  Perciò  desideravo
                  trasferirmi in una località ove, a detta degli informati, fatti del genere non avvenivano. Ma in realtà eri tu,
                  mia speranza e mia eredità nella terra dei vivi, che per indurmi a un trasloco mondano salutare alla mia
                  anima, accostavi a Cartagine il pungolo, che me ne staccasse, e presentavi le lusinghe di Roma, che mi
                  attraessero. A tale scopo ti servivi di uomini perduti dietro una vita morta, che qui compivano follie, là
                  promettevano  vanità;  e  per  raddrizzare  i  miei  passi  mettevi  a  frutto  segretamente  la  loro  e  la  mia
                  perversità.  Infatti  chi  disturbava  la mia quiete era accecato da un furore degradante, chi m’invitava in
                  un’altra località pensava alla terra, e quanto a me, se qui detestavo una vera miseria, là cercavo una falsa
                  felicità.

                  Difficile congedo dalla madre
                  8. 15. Ma le ragioni per cui lasciavo un luogo e ne raggiungevo un altro tu le conoscevi, o Dio, anche se
                  non le indicavi né a me né a mia madre, che pianse atrocemente per la mia partenza. Mi seguì fino al
                  mare; quando mi strinse violentemente, nella speranza di dissuadermi dal viaggio o di proseguire con me,
                  la ingannai, fingendo di non voler lasciare solo un amico, che attendeva il sorgere del vento per salpare.
                  Mentii a mia madre, a quella madre, eppure scampai, perché la tua misericordia mi perdonò questa colpa,
                  mi salvò dalle acque del mare malgrado le orrende brutture di cui traboccavo, per condurmi all’acqua
                  della tua grazia, le cui abluzioni avrebbero asciugato i fiumi delle lacrime di cui gli occhi di mia madre
                  volti a te rigavano per me quotidianamente la terra sotto il suo volto. Però si rifiutò di tornare indietro
                  senza  di  me,  e  faticai  a  persuaderla  di  passare  la notte nell’interno di una chiesuola dedicata al beato
                  Cipriano, che sorgeva vicinissima alla nostra nave. Quella notte stessa io partivo clandestinamente, mentre
                  essa rimaneva a pregare e a piangere. E cosa ti chiedeva, Dio mio, con tante lacrime, se non d’impedire la
                  mia  navigazione?  Tu  però  nella  profondità  dei  tuoi  disegni  esaudisti  il  punto  vitale  del  suo desiderio,
                  senza curarti dell’oggetto momentaneo della sua richiesta, ma badando a fare di me ciò che sempre ti
                  chiedeva di fare. Spirò il vento e riempì le nostre vele. La riva scomparve al nostro sguardo la stessa
                  mattina in cui ella folle di dolore riempiva le tue orecchie di lamenti e gemiti, dei quali non facesti conto:
                  perché, servendoti delle mie passioni, attiravi me a stroncare proprio le passioni e flagellavi lei con la
                  sofferenza meritata per la sua bramosia troppo carnale. Amava la mia presenza al suo fianco come tutte le
                  madri, ma molto più di molte madri, e non immaginava quante gioie invece le avresti procurato con la mia
                  assenza. Non lo immaginava, perciò piangeva e gemeva, e i suoi tormenti rivelavano l’eredità di Eva in
                  lei, che cercava con lamenti quanto con lamenti aveva partorito. Tuttavia, dopo aver imprecato contro i
                  miei  tradimenti  e  la  mia  crudeltà,  riprese  a  implorarti  per  me,  tornando  alla  sua  solita  vita,  mentre  io
                  veleggiavo alla volta di Roma.


                  Una pericolosa malattia a Roma

                  9. 16. Qui ecco mi accolse il flagello delle sofferenze fisiche, che ben presto m’incamminavano  verso
                  l’inferno col fardello di tutte le colpe commesse contro te, contro me e contro il prossimo, colpe numerose
                  e gravi, aggiunte al vincolo del peccato originale, per cui tutti siamo morti in Adamo. Non me ne avevi
                  condonata  nessuna  nel  nome  di  Cristo,  né  questi  aveva  pagato  sulla  sua  croce  l’inimicizia  che  avevo
                  contratto con te mediante i miei peccati. E invero, come poteva pagarla su una croce il fantasma che io
                  allora mettevo al suo posto? Quanto mi sembrava falsa la morte della sua carne, tanto era vera quella della
                  mia anima; e quanto era vera la morte della sua carne, tanto era falsa la vita della mia anima incredula.
                  Col crescere della febbre ben presto fui lì lì per andarmene, e andarmene in perdizione. Dove sarei andato,
                  infatti, se avessi abbandonato allora questo mondo, se non al fuoco e ai tormenti degni dei miei misfatti
                  secondo la verità dei tuoi comandamenti? Mia madre, pur ignara del mio male, tuttavia pregava, assente,
                  per me; e tu, dovunque presente, dov’era lei l’esaudivi e dov’ero io t’impietosivi di me a tal segno, da
                  farmi ricuperare la salute del corpo, benché fossi ancora malsano nel cuore sacrilego: anche in un pericolo
                  così  grave,  infatti,  non  desiderai  il  tuo  battesimo.  Ero  più  buono  da  piccolo,  perché  allora  lo  richiesi
                  insistentemente  dalla  tenerezza  di  mia  madre,  come  ho  già  ricordato  e  confessato.  Cresciuto  invece  a
                  disdoro di me stesso, nella mia follia deridevo le prescrizioni della tua medicina. Eppure non permettesti
                  che io morissi doppiamente in quello stato. Il cuore di mia madre, colpito da una tale ferita, non si sarebbe





                  Agostino – Confessioni                                                    pag. 35 di 134
   32   33   34   35   36   37   38   39   40   41   42