Page 29 - Confessioni
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andate, alle tribolazioni? Dove andate? Il bene che amate deriva da lui, ma solo in quanto tende a lui è
buono e soave; sarà invece giustamente amaro, perché ingiustamente si ama, lasciando lui, ciò che deriva
da lui. Quale vantaggio ricavate dal vostro lungo e continuo camminare per vie aspre e penose? Non vi è
quiete dove voi la cercate. Cercate ciò che cercate, ma non è lì, dove voi cercate. Voi cercate una vita
felice in un paese di morte: non è lì. Come potrebbe essere una vita felice ove manca la vita?
12. 19. Discese nel mondo la nostra vita, la vera, si prese sulle sue spalle la nostra morte e l’uccise con la
sovrabbondanza della sua vita, ci gridò tuonando di tornare dal mondo a lui, nel sacrario onde venne a noi
dapprima entrando nel seno di una vergine, ove gli si unì come sposa la creatura umana, la nostra carne
mortale, per non rimanere definitivamente mortale; poi di là, come sposo che esce dal talamo, uscì con
balzo di gigante per correre la sua via, e senza mai attardarsi corse gridando a parole e a fatti, con la
morte e la vita, con la discesa e l’ascesa, gridando affinché tornassimo a lui; e si dipartì dagli occhi
affinché tornassimo al cuore, ove trovarlo. Partì infatti, ed eccolo, è qui. Non volle rimanere a lungo con
noi, e non ci ha lasciati. Partì verso un luogo da cui non si era mai dipartito, perché il mondo fu fatto per
mezzo suo, e in questo mondo era e venne in questo mondo a salvare i peccatori. La mia anima si
confessa a lui, e lui la guarisce, perché ha peccato contro di lui. Figli degli uomini, fino a quando questo
peso nel cuore?. Anche dopo che la vita discese a voi, non volete ascendere a vivere? Dove ascendete, se
siete già in alto e avete posto la bocca nel cielo ? Discendete, per ascendere, e ascendere a Dio, poiché
cadeste nell’ascendere contro Dio”. Di’ loro queste parole, anima mia, affinché piangano nella valle del
pianto, e così rapiscili via con te fino a Dio. Lo spirito di Dio t’ispira queste parole, se nel parlare ardi col
fuoco della carità.
Il problema del bello
Composizione del trattato Sulla bellezza e la convenienza
13. 20. Ignaro di tutto ciò, e innamorato delle bellezze terrene, io allora camminavo verso l’abisso e
dicevo ai miei amici: “Noi non amiamo che il bello. Cos’è il bello? e cos’è la bellezza? Cosa ci attrae e ci
avvince agli oggetti del nostro amore? La convenienza e la grazia, perché se ne fossero privi non ci
attirerebbero affatto”. Avvertivo cioè e notavo che nei corpi altra cosa è la bellezza, per così dire,
complessiva, in quanto sono un complesso, e altra la convenienza, ossia l’armonia con altri corpi, come
una parte del nostro corpo si armonizza col tutto, o un calzare col piede e così via. Questa considerazione
scaturì nella mia mente dall’intimo del mio cuore, per cui scrissi alcuni libri sulla bellezza e la
convenienza, credo due o tre: tu sai, Dio, io ne ho perso il ricordo, né più li possiedo. Per noi sono
smarriti, chissà come.
Dedica del trattato all’oratore Gerio
14. 21. Cosa mi spinse, Signore Dio mio, a dedicare quei libri a un oratore romano, Gerio, che non
conoscevo personalmente? Avevo preso ad amarlo per la chiara fama della sua erudizione e per alcune
parole che di lui mi erano state riferite e mi erano piaciute. Ma soprattutto mi piaceva perché piaceva agli
altri, ne era esaltato e lodato. La gente stupiva che da un siriano, già dotto nell’oratoria greca, fosse uscito
anche un dicitore mirabile nella latina, versatissimo per di più negli studi relativi alla filosofia. Accade
dunque di lodare un uomo e di amarlo anche da lungi; ma questo amore entra forse nel cuore di chi ascolta
dalla bocca di chi loda? Lungi da me! È invece dall’amore dell’uno che si accende l’amore dell’altro.
Nasce l’amore della lode quando si crede alla sincerità degli elogi di chi loda, cioè quando costui ama chi
loda.
14. 22. Così appunto io allora amavo gli uomini, seguendo il giudizio degli uomini e non il tuo, Dio mio,
in cui nessuno s’inganna. Perché tuttavia la mia lode non era qual è per un auriga celebre o un cacciatore
esaltato dalla fama popolare, bensì molto differente, e seria e quale avrei voluto ricevere anch’io? Io non
avrei voluto ricevere la lode e l’amore degli istrioni, per quanto li lodassi e amassi poi anch’io. Avrei
preferito l’oscurità a una nomea di quel genere, l’odio addirittura a un simile amore. Come si
distribuiscono in una medesima anima le forze di amori tanto vari e diversi? Come mi avviene di amare in
altri ciò che invece non detesterei né respingerei da me, se non l’odiassi? Eppure siamo uomini entrambi.
Sì, chi ama un buon cavallo, non vorrebbe esserlo, anche potendo, ma non si può dire altrettanto per un
istrione, il quale partecipa della nostra natura. Io amerei dunque in un uomo ciò che non vorrei essere, pur
essendo un uomo? Quale abisso l’uomo medesimo, di cui tu, Signore, conosci persino il numero dei
capelli senza che nessuno manchi al tuo conto! Eppure è più facile contarne i capelli che i sentimenti e i
Agostino – Confessioni pag. 27 di 134