Page 25 - Confessioni
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3.  4.  Perciò  quegli  altri  vagabondi,  che  chiamano  matematici,  non  desistevo  dal  consultarli
                  tranquillamente,  pensando  che  non  praticavano  nessun  sacrificio  e  non  pregavano  nessuno  spirito  per
                  divinare il futuro. La religiosità cristiana, la vera, respinge e condanna però coerentemente ogni pratica
                  del  genere.  È  bene  confessare  te,  Signore,  e  dirti:  “Abbi  pietà  di  me,  sana  la  mia  anima,  perché  ho
                  peccato contro di te”; ed è bene non abusare della tua indulgenza per darsi licenza di peccare, ricordando
                  le parole divine: Eccoti guarito, non peccare più, se non vuoi che ti avvenga di peggio. Dono di salvezza,
                  costoro  si  sforzano  di  distruggerlo  interamente  dicendo:  “Dal  cielo  ti  viene  la  causa  inevitabile  del
                  peccato” e: “È opera di Venere”, oppure di Saturno, oppure di Marte. Evidentemente mirano con ciò a
                  rendere  senza  colpa  l’uomo,  che  è  carne  e  sangue  e  superbo  marciume,  e  colpevole  il  creatore  e
                  regolatore del cielo e degli astri. Ma chi è costui, se non tu, nostro Dio, dolcezza e fonte di giustizia, che
                  renderai a ciascuno secondo le proprie opere, e non sprezzi il cuore contrito e umiliato?

                  Due avversari dell’astrologia: Vindiciano e Nebridio

                  3. 5. Viveva in quel tempo un personaggio intelligente, versatissimo e reputatissimo in medicina, il quale
                  da proconsole aveva posto di sua mano sul mio capo malsano la corona vinta nelle gare poetiche, ma non
                  come medico, poiché il guaritore di quella specie di malattie sei tu, che resisti  ai superbi, mentre agli
                  umili accordi favore. Eppure mancasti o cessasti forse di medicare la mia anima anche per il tramite di
                  quel  vecchio?  Entrato  dunque  in  una  certa  dimestichezza  con  lui,  ne  ascoltavo  assiduamente  e
                  attentamente  i  discorsi,  piacevoli  e  austeri,  poveri  di  vocaboli  ricercati  ma  ricchi  di  pensieri  vividi.
                  Allorché  da  un  nostro  colloquio  venne  a  conoscenza  del  mio  interesse  per  i  libri  degli  oroscopi,  mi
                  consigliò con amorevolezza paterna di buttarli e di non impiegare vanamente in futilità l’attenzione e la
                  fatica necessaria per le cose utili. Egli stesso, mi disse, aveva studiato la materia, tanto che in gioventù
                  avrebbe voluto farsene il proprio mestiere, di cui campare: se aveva capito Ippocrate, avrebbe ben potuto
                  capire anche quei testi. Eppure più tardi li abbandonò per darsi alla medicina solo perché aveva scoperto
                  la  loro  completa  falsità  e  non  avrebbe  voluto,  persona  seria  qual  era,  guadagnare  il  pane  gabbando  il
                  prossimo. “Tu, soggiunse, possiedi un’arte che ti offre una posizione sociale solida, la retorica, e coltivi
                  questo imbroglio per libera passione, non per necessità economiche. A maggior ragione devi fidarti di me
                  in questa materia, che ho cercato d’imparare compiutamente così come avevo deciso di farne il mio unico
                  sostentamento”. Io gli chiesi allora come mai avvenisse che molte predizioni si realizzano. Rispose come
                  poteva, che è un effetto del caso disseminato dovunque in natura. Consultando a casaccio, spiegava, le
                  pagine di un qualsiasi poeta, che ben altro canta e pensa, spesso ne esce un verso, mirabilmente consono
                  col fatto proprio; non è dunque strano se per un misterioso impulso dall’alto l’anima umana, pur ignara di
                  quanto avviene nel suo interno, non per abilità, ma per accidente, faccia echeggiare alcune parole, che si
                  armonizzano con la situazione e le faccende dell’interrogante.
                  3. 6. Questo ammaestramento tu mi facesti avere da quell’uomo o per mezzo di quell’uomo, tracciando
                  nella mia memoria le linee di una ricerca, che poi avrei svolto per conto mio. Al momento né lui né il mio
                  carissimo Nebridio, giovane di grande bontà e accortezza, con i suoi dileggi verso ogni sorta di presagi,
                  poterono indurmi a respingerli. Aveva più influenza sul mio animo l’autorità dei miei autori, né avevo
                  trovato  ancora  una  prova  sicura,  quale  cercavo,  che  mi  mostrasse  senza  ambiguità  come  le  predizioni
                  degli astrologhi consultati predices-sero il vero per fortuna o sorte, non per l’arte di osservare le stelle.
                  Morte di un carissimo amico

                  Storia di un’amicizia

                  4.  7.  In  quegli  anni,  all’inizio  del  mio  insegnamento  nella  città  natale,  mi  ero  fatto  un  amico,  che  la
                  comunanza dei gusti mi rendeva assai caro. Mio coetaneo, nel fiore dell’adolescenza come me, con me era
                  cresciuto da ragazzo, insieme eravamo andati a scuola e insieme avevamo giocato; però prima di allora
                  non era stato un mio amico, sebbene neppure allora lo fosse, secondo la vera amicizia. Infatti non c’è vera
                  amicizia, se non quando l’annodi tu fra persone a te strette col vincolo dell’amore diffuso nei nostri cuori
                  ad opera dello Spirito Santo che ci fu dato. Ma quanto era soave, maturata com’era al calore di gusti
                  affini! Io lo avevo anche traviato dalla vera fede, sebbene, adolescente, non la professasse con schiettezza
                  e convinzione, verso le funeste fandonie della superstizione, che erano causa delle lacrime versate per me
                  da mia madre. Con me ormai la mente del giovane errava, e il mio cuore non poteva fare a meno di lui.
                  Quando eccoti arrivare alle spalle dei tuoi fuggiaschi, Dio delle vendette e fonte insieme di misericordie,
                  che ci rivolgi a te in modi straordinari; eccoti strapparlo a questa vita dopo un anno appena che mi era





                  Agostino – Confessioni                                                    pag. 23 di 134
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