Page 18 - Confessioni
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mai  amarlo.  Tu,  Signore  Dio,  che  ami  le  anime,  ne  provi  una  misericordia  infinitamente  più  pura  e
                  incorruttibile della nostra, perché nessun dolore ti ferisce. Ma chi è capace di tanto?.


                  Ricerca di sensazioni

                  2. 4. Io allora, misero, amavo soffrire e cercavo occasioni di sofferenza. Nelle afflizioni altrui, e sia pure
                  le afflizioni fittizie di un mimo, il gesto del commediante mi piaceva e attraeva tanto più violentemente,
                  quante più lacrime mi strappava. E che c’è di strano, se, pecora infelice, errabonda lontano dal tuo gregge
                  e insofferente della tua sorveglianza, un’orrenda scabbia mi deturpava? Di qui il mio amore per il dolore,
                  non già tale da incidere troppo profondamente nel mio animo, perché non amavo patire le pene che amavo
                  contemplare; ma da graffiarmi, per così dire, la pelle in superficie all’ascolto e alla vista di una finzione.
                  Senonché, come avviene al grattare delle unghie, ne seguivano gonfiori brucianti, e infezioni e un orrendo
                  marciume. Ma quella vita era vita, Dio mio?

                  Misericordia di Dio

                  3. 5. Pure,  la tua misericordia mi aleggiava intorno fedele, di lontano. In quante iniquità non mi sono
                  corrotto  fino  alla  putredine!  Ti  lasciai  per  seguire  una  curiosità  sacrilega,  che  doveva  precipitarmi
                  nell’abisso  infido  e  nel  culto  ingannevole  dei  demòni,  cui  immolavo  in  sacrificio  i  miei  misfatti.  E tu
                  frattanto non cessavi di flagellarmi. Non osai persino, nelle affollate cerimonie delle tue festività, fra le
                  pareti della tua chiesa concepire voglie impure e brigare per cogliere frutti mortali? Perciò mi hai fustigato
                  duramente. Ma i tuoi castighi erano nulla rispetto alla mia colpa, o sconfinata misericordia mia, Dio mio,
                  rifugio  mio  dai  terribili  pericoli  fra  cui  vagai  presuntuoso,  a  testa  alta,  staccandomi  sempre più da te,
                  invaghito delle mie, non delle tue strade, invaghito della mia libertà di evaso.


                  Intemperanze dei compagni di scuola

                  3. 6. Anche gli studi nobili, com’erano chiamati, avevano il loro sbocco nel foro litigioso, cioè miravano a
                  rendermi  eccellente  ove  tanto  più  si  è  lodati,  quanto  più  si  è  frodatori.  La  cecità  degli  uomini  è  così
                  grande, che persino della propria cecità si gloriano. Ormai ero il primo alla scuola di retorica e ne provavo
                  una  gioia  altera,  mi  gonfiavo  di  vento,  sebbene fossi molto più quieto,  Signore,  tu lo sai, e rimanessi
                  affatto estraneo ai disordini provocati dai “perturbatori dell’ordine”, epiteto sinistro e diabolico che pure
                  equivale a un’insegna di buona educazione, fra i quali vivevo. Nella mia impudenza serbavo dunque un
                  certo pudore, se non ero come loro. Mi trovavo con loro, mi piaceva talvolta la loro compagnia, ma le
                  loro imprese mi ripugnavano sempre, i disordini in cui perseguitavano spavaldamente la timidezza dei
                  novellini e li atterrivano con le loro burle non ad altro intese, che a pascere la loro maligna festevolezza.
                  Nessun’altra  è  più  somigliante  alla  condotta  dei  demòni,  perciò non potevano ricevere appellativo più
                  giustificato  che  quello  di  perturbatori  dell’ordine,  perturbati  com’erano  essi  per  primi  e  disturbati  da
                  spiriti beffardi, che occultamente li deridevano e seducevano proprio nell’atto di godere delle derisioni e
                  delle beffe altrui.

                  Prime impressioni di studio

                  La lettura dell’Ortensio di Cicerone
                  4. 7. Fu in tale compagnia che trascorsi quell’età ancora malferma, studiando i testi di eloquenza. Qui
                  bramavo distinguermi, per uno scopo deplorevole e frivolo quale quello di soddisfare la vanità umana; e
                  fu appunto il corso normale degli studi che mi condusse al libro di un tal Cicerone, ammirato dai più per
                  la lingua, non altrettanto per il cuore. Quel suo libro contiene un incitamento alla filosofia e s’intitola
                  Ortensio.  Quel  libro,  devo  ammetterlo,  mutò  il  mio  modo  di  sentire,  mutò  le  preghiere  stesse  che
                  rivolgevo a te, Signore, suscitò in me nuove aspirazioni e nuovi desideri, svilì d’un tratto ai miei occhi
                  ogni  vana  speranza  e  mi  fece  bramare  la  sapienza  immortale  con  incredibile  ardore  di  cuore.  Così
                  cominciavo  ad  alzarmi  per  tornare  a  te.  Non  usavo  più  per  affilarmi  la  lingua,  per  il  frutto  cioè  che
                  apparentemente ottenevo con il denaro di mia madre: avevo allora diciotto anni e mio padre era morto da
                  due; non per affilarmi la lingua dunque usavo quel libro, che mi aveva del resto conquistato non per il
                  modo di esporre, ma per ciò che esponeva.





                  Agostino – Confessioni                                                    pag. 16 di 134
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