Page 14 - Confessioni
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la visione del sereno della tua verità. E come da adipe rampollava la mia iniquità.
                  Un furto di pere

                  L’impresa

                  4. 9. La tua legge, Signore, condanna chiaramente il furto, e così la legge scritta nei cuori degli uomini,
                  che  nemmeno  la  loro  malvagità  può  cancellare.  Quale  ladro  tollera  di  essere  derubato  da  un  ladro?
                  Neppure se ricco, e l’altro costretto alla miseria. Ciò nonostante io volli commettere un furto e lo commisi
                  senza  esservi  spinto  da  indigenza  alcuna,  se  non  forse  dalla  penuria  e  disgusto  della  giustizia  e  dalla
                  sovrabbondanza dell’iniquità. Mi appropriai infatti di cose che già possedevo in maggior misura e molto
                  miglior qualità; né mi spingeva il desiderio di godere ciò che col furto mi sarei procurato, bensì quello del
                  furto e del peccato in se stessi. Nelle vicinanze della nostra vigna sorgeva una pianta di pere carica di
                  frutti d’aspetto e sapore per nulla allettanti. In piena notte, dopo aver protratto i nostri giochi sulle piazze,
                  come usavamo fare pestiferamente, ce ne andammo, giovinetti depravatissimi quali eravamo, a scuotere la
                  pianta, di cui poi asportammo i frutti. Venimmo via con un carico ingente e non già per mangiarne noi
                  stessi, ma per gettarli addirittura ai porci. Se alcuno ne gustammo, fu soltanto per il gusto dell’ingiusto.
                  Così è fatto il mio cuore, o Dio, così è fatto il mio cuore, di cui hai avuto misericordia mentre era nel
                  fondo  dell’abisso.  Ora,  ecco,  il  mio  cuore  ti  confesserà  cosa  andava  cercando  laggiù,  tanto  da  essere
                  malvagio senza motivo, senza che esistesse alcuna ragione della mia malvagità. Era laida e l’amai, amai la
                  morte, amai il mio annientamento. Non l’oggetto per cui mi annientavo, ma il mio annientamento in se
                  stesso  io  amai,  anima  turpe,  che  si  scardinava  dal  tuo  sostegno  per  sterminarsi  non  già  nella  ricerca
                  disonesta di qualcosa, ma della sola disonestà.

                  Natura e moventi del peccato
                  5. 10. Le belle forme nei corpi e l’oro e l’argento e ogni cosa simile attraggono gli occhi col loro aspetto;
                  nel senso del tatto importa moltissimo la consonanza della carne e del suo oggetto, come gli altri sensi
                  ricevono dagli oggetti una loro specifica e conveniente modificazione. Anche l’onore mondano, il potere,
                  il dominio posseggono una loro dignità, origine fra l’altro nell’uomo del desiderio di vendetta. Tuttavia
                  per ottenere tutti questi beni non occorre allontanarsi da te, Signore, né deviare dalla tua legge. La vita
                  stessa che viviamo qui sulla terra possiede un suo fascino, che le deriva da una certa misura di grazia sua
                  propria e dall’armonia con tutte le altre minime bellezze dell’universo. E l’amicizia fra gli uomini non è
                  forse deliziosa per l’amabile nodo con cui unifica molte anime? Tutte queste cose e le altre ad esse simili
                  sono fonte di peccato soltanto nel caso che ad esse tendiamo smoderatamente e per esse, che sono beni
                  infimi, trascuriamo gli altri migliori e sommi: te, Signore Dio nostro, e la tua verità e la tua legge. Perché,
                  sì, anche questi infimi beni dilettano, ma non quanto il mio Dio, autore di ogni cosa, in cui appunto gode
                  l’uomo giusto e che appunto è la delizia dei cuori retti.
                  5. 11. Perciò nella ricerca del movente di un delitto non si è paghi di solito, se non quando si scopre la
                  brama  di  ottenere  l’uno  o  l’altro  dei  beni  che  abbiamo  definito  minimi,  oppure  il  timore  di  perderlo,
                  perché  essi,  sebbene  abietti  e  vili  a  paragone  dei  beni  superiori  e  beatificanti,  posseggono  una  loro
                  bellezza e grazia. Qualcuno ha ucciso: perché l’ha fatto? Vagheggiava la moglie o il podere del morto,
                  oppure cercò di predare per vivere, oppure temeva di perdere uno di questi beni per mano del morto,
                  oppure era arso dal desiderio di vendicare un affronto subito. Avrebbe mai perpetrato un omicidio senza
                  ragione, per il solo piacere di uccidere un uomo?  Chi lo crederebbe? Persino alle follie e alle crudeltà
                  estreme  di  un  uomo,  del  quale  fu  detto  che  sfogava  abitualmente  per  nulla  la  propria  malvagità  e
                  crudeltà, fu premessa una ragione: “perché nell’inattività - dice il suo storico - non s’intorpidisse la mano
                  o lo spirito”. Domandati anche questo: a che scopo? perché questo? Evidentemente per ottenere mediante
                  la pratica dei delitti e una volta padrone della città onori, potere, ricchezze; per liberarsi dal timore delle
                  leggi e dalle angustie che gli derivavano dall’esiguità del patrimonio e dal rimorso dei delitti. Dunque
                  neppure Catilina amò i propri delitti, ma altro: lo scopo, cioè, per cui li commetteva.


                  I peccati, simulazione della potenza di Dio
                  6. 12. Ma io, sciagurato, cosa amai in te, o furto mio, o delitto notturno dei miei sedici anni? Non eri
                  bello,  se  eri  un  furto;  anzi,  sei  qualcosa,  per  cui  possa  rivolgerti  la  parola?  Belli  erano  i  frutti  che
                  rubammo, perché opera delle tue mani, o Bellezza massima fra tutte, creatore di tutto, Dio buono, Dio




                  Agostino – Confessioni                                                    pag. 12 di 134
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