Page 13 - Confessioni
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3. 5. Quell’anno però i miei studi erano stati interrotti. Richiamato da Madaura, una città vicina, ove in
                  precedenza mi ero trasferito per studiare letteratura ed eloquenza, ora si andavano raccogliendo i fondi
                  necessari al mio trasferimento in una sede più remota, Cartagine, secondo le ambizioni, piuttosto che le
                  possibilità di mio padre, cittadino alquanto modesto del municipio di Tagaste. Ma a chi narro questi fatti?
                  Non  certo  a  te,  Dio  mio.  Rivolgendomi  a  te,  li  narro  ai  miei  simili,  al  genere  umano,  per  quella
                  piccolissima particella che può imbattersi in questo mio scritto. E a quale scopo? All’unico scopo che io
                  ed ogni lettore valutiamo la profondità dell’abisso da cui dobbiamo lanciare il nostro grido verso di te.
                  Eppure cos’è più vicino alle tue orecchie di un cuore che si confessa e di una vita sostanziata di fede? Chi
                  non faceva allora alti elogi di un uomo, mio padre, il quale per mantenere agli studi suo figlio in una città
                  lontana spendeva più di quanto permettesse il patrimonio familiare? Molti cittadini assai più ricchi di lui
                  non affrontavano per i loro figli un sacrificio simile. Eppure quello stesso padre non si  preoccupava di
                  conoscere intanto come crescessi ai tuoi occhi o quanto fossi casto, purché fossi forbito nel parlare, o
                  piuttosto, sfornito della tua scienza, o Dio, unico vero e buon padrone del tuo campo, il mio cuore.

                  Nell’ozio
                  3. 6. Quando però nel corso di quel sedicesimo anno tornai presso i miei genitori e dalle strettezze della
                  mia famiglia fui ridotto all’ozio, senza alcun impegno scolastico, i rovi delle passioni crebbero oltre il mio
                  capo senza che fosse là una mano a sradicarli. Anzi quel mio padre, al vedermi un giorno ai bagni ormai
                  cresciuto e già ricoperto dai segni dell’adolescenza inquieta, fu come colto da una gioia smaniosa per i
                  nipoti che gliene potevano nascere e lo riferì festante a mia madre, festante, dico, dell’ebbrezza in cui il
                  mondo ha affogato il ricordo di te, suo creatore, per amare in tua vece la tua creatura, ebbrezza del vino
                  occulto  della  sua  volontà  perversamente  inclinata  alle  bassezze.  Ma  nel  cuore di mia madre avevi già
                  posto mano all’erezione del tuo tempio e alle fondamenta della tua santa casa, mentre il padre era ancora
                  catecumeno, e da poco per di più. Essa quindi trasalì in un’apprensione e trepidazione pia, paventando per
                  me, sebbene non ancora battezzato, le vie storte in cui cammina chi volge a te la schiena e non il volto.


                  Ammonimenti e sollecitudini della madre

                  3. 7. Ahimè, come oso dire che tu, Dio mio, tacesti mentre mi allontanavo da te? Tacevi davvero per me
                  in quei momenti? Di chi erano dunque, se non tue, le parole che facesti risuonare alle mie orecchie per la
                  bocca di mia madre, tua fedele? Ma nessuna scese di là nel mio cuore per tradursi in pratica. Essa mi
                  chiedeva  -  come  ricordo  dentro  di  me  l’incalzante  sollecitudine  dei  suoi  ammonimenti!  -  di  astenermi
                  dagli  amorazzi  e  specialmente  dall’adulterio  con  qualsiasi  donna.  Io  li  prendevo  per  ammonimenti  di
                  donnicciuola, cui mi sarei vergognato di ubbidire. Invece venivano da te: io ignaro pensavo che tu tacessi
                  e lei parlasse, mentre tu non tacevi per me con la sua voce, sebbene in lei io disprezzassi te, io, io, figlio
                  suo, figlio dell’ancella tua e servo tuo. Nella mia ignoranza procedevo a capofitto verso l’abisso, tanto
                  cieco da vergognarmi fra i miei coetanei di non essere spudorato quanto loro. Al sentirli esaltare le loro
                  dissolutezze e tanto più gloriarsene quanto più erano indegne, cercavo di fare altrettanto, non solo per il
                  piacere dell’atto in sé, ma altresì della lode che ne ottenevo. Che altro merita biasimo, se non il vizio? E io
                  per evitare il biasimo m’immergevo nel vizio. Quando mancavo di colpe che mi uguagliassero ai malvagi,
                  inventavo fatti che non avevo fatto per timore di apparire tanto più vile quanto più ero innocente e di
                  essere giudicato tanto più spregevole quanto più ero casto.

                  3. 8. In tale compagnia percorrevo la mia strada fra le piazze di Babilonia, avvoltolandomi nel suo fango
                  come fosse cinnamomo e unguenti preziosi. E per impantanarmi più tenacemente nel suo mezzo, il nemico
                  invisibile mi calcava, seducendomi poiché mi lasciavo facilmente sedurre. La donna che era già fuggita
                  dal  centro  di  Babilonia,  ma  ancora  si  attardava  negli  altri  quartieri,  la  madre  della  mia  carne,  mi
                  raccomandò, sì, il pudore, ma non si curò di rinserrare nei limiti dell’affetto coniugale, se non si poteva
                  reciderla  fino  al  vivo,  la  mia  virilità,  di  cui  suo  marito  le  aveva  parlato,  e  che,  lo  sentiva,  già  allora
                  funesta,  sarebbe  divenuta  pericolosa  in  avvenire.  Non  se  ne  curò  per  timore  che  le  pastoie  coniugali
                  inceppassero le mie prospettive, non la prospettiva della vita futura, che mia madre fondava in te, ma le
                  prospettive degli studi, ove entrambi i miei genitori ambivano troppo che io progredissi, l’uno perché di te
                  non pensava quasi nulla e di me pensava delle vacuità, l’altra perché riteneva che la formazione culturale
                  allora  in  voga  non  solo  sarebbe nessun detrimento, ma anzi alcun giovamento a portarmi fino a te. A
                  queste  conclusioni,  almeno,  giungo  oggi  rievocando  come  posso  l’indole  dei  miei  genitori.  Essi
                  allentavano anche le briglie ai miei divertimenti oltre il tenore di una severità ragionevole, dando sfogo
                  alle mie varie passioni; e così tutt’intorno a me si stendeva una grande foschia, che mi toglieva, Dio mio,




                  Agostino – Confessioni                                                    pag. 11 di 134
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