Page 8 - Confessioni
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l’aiutavi a prevalere sul marito, cui pure serviva, sebbene fosse migliore di lui, perché anche in ciò serviva
te, che imponi comunque alla donna una condizione servile.
Il differimento del battesimo
11. 18. Dio mio, ti prego, vorrei sapere, se pure tu lo volessi, per quale disegno fu differito allora il mio
battesimo. Fu un bene per me che mi siano state allentate, per così dire, le briglie al peccato, o sarebbe
stato bene il contrario? Per questa ragione dunque ancor oggi si sente dire da ogni parte dell’uno e
dell’altro: “Lascialo fare: non è ancora battezzato”. Eppure riguardo alla salute fisica non diciamo:
“Lascia che si produca altre ferite: non è ancora guarito”. Dunque sarebbe stato molto meglio per me
guarire subito; che, per me, tanto io quanto i miei parenti avessimo posto ogni diligenza a ricuperare e a
mettere la salute della mia anima al riparo sotto il tuo riparo, che non le avresti rifiutato. Sarebbe stato
meglio davvero. Invece, conoscendo i flutti delle tentazioni che già in gran numero e misura si profilavano
minacciosi dietro la fanciullezza, mia madre, e quella madre, preferì avventurarvi la terra da cui mi sarei
poi formato, che subito la compiuta figura.
Avversione allo studio
12. 19. Tuttavia proprio nella fanciullezza, che suscitava al mio riguardo apprensioni minori
dell’adolescenza, non amavo lo studio e odiavo di esservi costretto. Vi ero però costretto, e per il mio
bene, ma io non compivo del bene, perché non avrei studiato senza costrizione, e chi agisce suo malgrado
non compie del bene, per quanto sia bene quello che compie. Neppure coloro che mi costringevano
compivano del bene, ma il bene mi veniva da te, Dio mio. Essi non vedevano altro scopo, cui potessi
rivolgere quanto mi costringevano a imparare, se non l’appagamento delle brame inappagabili di una
miseria che sembra ricchezza e di una infamia che sembra gloria. Ma tu, che conosci il numero dei nostri
capelli, sfruttavi a mio vantaggio l’errore di tutti coloro che insistevano per farmi studiare, come sfruttavi
anche il mio, che non volevo studiare, per impormi un castigo di cui non era immeritevole quel così
piccolo fanciullo e così grande peccatore. Così mi procuravi del bene non da chi compiva del bene, e del
mio stesso peccato mi ripagavi equamente. Hai stabilito infatti, e avviene, che ogni anima disordinata sia
castigo a se stessa.
Greco e latino
13. 20. Quale fosse poi la ragione per cui odiavo il greco che mi veniva insegnato da fanciullo, non lo so
esattamente nemmeno ora. Invece mi ero appassionato al latino, non già quello insegnato dai maestri dei
primi corsi, ma dagli altri, i cosiddetti maestri di grammatica. Le prime nozioni, con cui s’impara a
leggere, a scrivere e a computare, mi procuravano noia e pena non minori di quelle che mi procurò in ogni
sua parte il greco; ma non era anche questa una conseguenza del peccato e della vanità della vita, per cui
ero carne e un soffio passeggero, che non torna? Quei primi studi, che via via mi mettevano, come mi
misero e mi mettono tuttora in grado di leggere se trovo uno scritto, e di scrivere io stesso se voglio
scrivere, erano migliori, perché più sicuri, degli altri, ove mi si costringeva a mandare a memoria gli errori
di un certo Enea dimenticando i miei propri errori, e a gemere su Didone, morta suicida per amore, mentre
io mi lasciavo morire tra queste fole senza di te, Dio, vita mia, ad occhi asciutti, miserrimo.
13. 21. C’è in verità cosa più misera di un misero che non commisera se stesso e piange la morte di
Didone, che avveniva per amore di Enea, mentre non piange sulla morte propria, che avveniva per non
amare te, Dio e lume del mio cuore, pane della interiore della mia anima, virtù fecondatrice della mia
intelligenza, grembo del mio pensiero? Io non amavo te, trescavo lontano da te, e alle mie tresche si
applaudiva da ogni parte: “Bravo, bravo”. L’amicizia verso questo mondo è davvero un trescare lontano
da te, cui si applaude: “Bravo, bravo”, cosicché si ha vergogna a non essere come gli altri. Ebbene, io non
piangevo per questo, e piangevo per Didone morta cercando col ferro il giorno estremo; anch’io cercavo
le cose estreme della tua creazione, dopo aver abbandonato te, terra che si piegava verso terra; e se
qualcuno mi proibiva quelle letture, mi affliggevo di non poter leggere ciò che mi affliggeva. Tali deliri si
apprezzano come studi più nobili e fruttuosi di quelli che mi insegnarono a leggere e scrivere.
La lettura dei poeti
Agostino – Confessioni pag. 6 di 134