Page 6 - Confessioni
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contro persone di libera condizione e di età più grave della mia, che non si assoggettavano alla mia
volontà; gli sforzi per colpire con tutte le mie forze chi mi aveva dato la vita e molte altre persone più
prudenti di me, che non ubbidivano ai miei cenni, percuotendole perché non eseguivano certi ordini che si
sarebbero eseguiti con mio danno? Dunque l’innocenza dei bambini risiede nella fragilità delle membra,
non dell’anima. Io ho visto e considerato a lungo un piccino in preda alla gelosia: non parlava ancora e già
guardava livido, torvo, il suo compagno di latte. È cosa nota, e le madri e le nutrici pretendono di saper
eliminare queste pecche con non so quali rimedi; ma non si può ritenere innocente chi innanzi al fluire
ubertoso e abbondante del latte dal fonte materno non tollera di condividerlo con altri, che pure ha tanto
bisogno di soccorso e che solo con quell’alimento si mantiene in vita. Ciò nonostante si tollerano con
indulgenza questi atti, non perché siano inconsistenti o da poco, ma perché destinati a sparire col crescere
degli anni. Lo prova il fatto che gli stessi atti, sorpresi in una persona più attempata, non si possono più
tollerare con indifferenza.
7. 12. Perciò tu, Signore Dio mio, che desti al bimbo con la vita un corpo, che lo fornisti, come si vede, di
sensi e di una compagine di membra e di un aspetto grazioso e dell’istinto a compiere tutti gli sforzi
possibili a un essere animato per preservare l’incolumità del proprio organismo, tu mi ordini di lodarti per
questi doni, di confessare te e inneggiare al tuo nome, Altissimo. Tu sei Dio, onnipotente e buono se
anche solo avessi fatto queste cose, che nessun altro può fare all’infuori di te; unico, da cui deriva ogni
norma; forma suprema, che forma ogni cosa e ordina ogni cosa secondo la propria norma. Ebbene,
Signore, questa età che non ricordo di aver vissuto, di cui credo ciò che mi dicono gli altri, e che
suppongo di aver trascorso solo perché la vedo negli altri infanti, per una supposizione, dunque, sebbene
assai fondata, l’annovero con riluttanza fra le età della vita che vivo in questo mondo. Per oscurità e oblio
non è da meno di quella che vissi nel grembo di mia madre; ma se fui concepito nell’iniquità, e mia madre
mi nutrì nel suo grembo fra i peccati, dove mai, di grazia, Dio mio, dove, Signore, io, servo tuo, dove o
quando fui innocente? Ma ecco, tralascio quel tempo. Che ho da spartire oggi con lui, se nessuna traccia
ne ritrovo?
Fanciullezza
L’acquisto della parola
8. 13. Dall’infanzia, procedendo verso l’età in cui mi trovo ora, passai dunque nella fanciullezza, se non
fu piuttosto la fanciullezza a raggiungermi succedendo all’infanzia. Quest’ultima non si ritrasse
certamente: dove svanì? Tuttavia ormai più non era. Io non ero più un infante senza favella, ma ormai un
fanciullo loquace, ben lo ricordo. Del modo come appresi a parlare mi resi conto solo più tardi. Non mi
ammaestrarono gli anziani, suggerendomi le parole con un insegnamento metodico, come poco dopo per
la lettura e la scrittura; ma fui io stesso il mio maestro con l’intelligenza avuta da te, Dio mio, quando con
gemiti e molteplici grida e molteplici gesti degli arti volevo manifestare i moti del mio cuore, affinché si
ubbidisse alla mia volontà; ma ero incapace di manifestare tutta la mia volontà e a tutti coloro che volevo.
Afferravo con la memoria: quando i circostanti chiamavano con un certo nome un certo oggetto e si
accostavano all’oggetto designato, io li osservavo e m’imprimevo nella mente il fatto che, volendo
designare quell’oggetto, lo chiamavano con quel suono. Che quella fosse la loro intenzione, lo arguivo dal
movimento del corpo, linguaggio, per così dire, comune di natura a tutte le genti e parlato col volto, con i
cenni degli occhi, con i gesti degli arti e con quelle emissioni di voce, che rivelano la condizione
dell’animo cupido, pago, ostile o avverso. Così le parole che ricorrevano sempre a un dato posto nella
varietà delle frasi, e che udivo di frequente, riuscivo gradatamente a capire quali oggetti designassero,
finché io pure cominciavo a usarle, dopo aver piegato la bocca ai loro suoni, per esprimere i miei desideri.
Giunsi così a scambiare con le persone tra cui vivevo i segni che esprimevano i desideri, e m’inoltrai
ulteriormente nel consorzio procelloso della vita umana, dipendendo dall’autorità dei genitori e dai cenni
degli adulti.
A scuola: busse e derisioni degli adulti
9. 14. Dio, Dio mio, quali inganni soffrii allora, quando, fanciullo, mi veniva indicata come norma di vita
retta l’ubbidienza a chi voleva rendermi prospero nel mondo ed eminente nelle arti linguacciute,
provveditrici di onori e ricchezze false tra gli uomini! Fui affidato alla scuola per impararvi le lettere, di
cui, meschinello, ignoravo i vantaggi; eppure erano busse, se ero pigro a studiarle. Era un sistema
raccomandato dai grandi, e molti fanciulli prima di noi, menando quella vita, avevano aperte le vie penose
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