Page 10 - Confessioni
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quale  trasferiva  qualità  umane  agli  dèi.  Io  preferirei  avesse  trasferito  qualità  divine  a  noi”?  Più
                  esattamente  si  potrebbe  però  dire:  Omero  nell’immaginare  queste  vicende  attribuiva  qualità  divine  a
                  uomini viziosi, per ottenere che i vizi non fossero ritenuti vizi, e chiunque vi si abbandonasse, sembrasse
                  imitare non già la corruzione umana, ma la celestialità divina.

                  16. 26. Ciò nonostante i figli degli uomini sono gettati nelle tue onde, o fiumana tartarea, e si paga perché
                  apprendano  queste  nozioni;  e  si  tratta  di  cosa  seria,  se  viene  compiuta  ufficialmente,  sulla  piazza
                  principale della città, sotto gli occhi delle leggi, che assegnano ai maestri un salario pubblico in aggiunta
                  alla mercede dei privati. Battendo contro le tue rocce, sembri dire col tuo fragore: “Qui dentro s’imparano
                  le  parole,  di  qui  si  attinge  l’eloquenza,  assolutamente  necessaria  per  convincere  e  spiegare  il  proprio
                  pensiero”.  Certo  noi  non  conosceremmo  parole  quali  “pioggia  aurea”,  “grembo”,  “trucco”,  “templi
                  celesti”, e le altre che si trovano nel passo seguente di Terenzio, se il poeta non avesse portato in scena un
                  giovinastro, che si propone per il proprio stupro l’esempio di Giove, mentre osserva sopra la parete un
                  dipinto,  ove  era  raffigurata  questa  scena:  Giove  che,  come  si  narra,  fa  cadere  una  pioggia  aurea  in
                  grembo a Danae, truccato per una donna. Guarda poi come, dietro il magistero celeste, diremmo, egli si
                  ecciti al piacere:
                  “E qual dio! dice: quello che i templi celesti
                  con immenso fragor sconquassa. Ed io,
                  un povero mortal, non lo farei?
                  Ma io l’ho fatto, e molto volentieri”.

                  Non  è  affatto  vero,  non  è  affatto  vero  che  sconcezze  simili  agevolino  l’apprendimento  delle  parole;
                  piuttosto, grazie alle parole si eseguono più leggermente le sconcezze. Io non accuso le parole, che direi
                  vasi  eletti  e  preziosi,  ma  il  vino  del  peccato,  che  in  esse  ci  veniva  propinato  da  maestri  ebbri,  e  che
                  dovevamo sorbire, pena le busse, senza possibilità di appellarci a un giudice sobrio. Eppure io, Dio mio,
                  davanti a cui evoco ormai pacatamente questi ricordi, imparai volentieri quelle nozioni. Esse costituivano
                  per me, sventurato, un diletto, e perciò venivo definito un fanciullo di belle speranze.


                  Impiego vano di un’intelligenza eccellente

                  17. 27. Permettimi, Dio mio, di spendere qualche parola anche sul mio intelletto, tuo dono; di dire in quali
                  vaneggiamenti  si  logorava.  Mi  veniva  assegnato  il  compito,  piuttosto  inquietante  al  mio  spirito  per
                  l’allettamento degli elogi e il timore delle mortificazioni e delle busse, di riferire le parole di Giunone
                  adirata e crucciata perché non può stornare dall’Italia il re dei teucri, parole che da Giunone non avevo
                  mai sentito pronunciare. Eppure eravamo costretti a perderci sulle orme di queste invenzioni poetiche,
                  riferendo in prosa quanto il poeta aveva riferito in versi; e i maggiori elogi nella dizione toccavano a chi
                  esprimeva sentimenti d’ira e cruccio più adeguati al rango del personaggio rappresentato, e rivestiva i
                  concetti  di  parole  più  convenienti.  Quale  vantaggio  mi  recavano,  o  vera  vita,  Dio  mio,  gli  applausi
                  tributati alla mia recitazione più che a quella dei miei molti coetanei e condiscepoli? Non era, ecco, tutto
                  fumo e vento? non esisteva nessun’altra materia, ove esercitare il mio intelletto e la mia lingua? Le tue
                  lodi, Signore, le tue lodi disseminate nelle tue Scritture avrebbero ben potuto reggere il tralcio del mio
                  cuore. Così non sarebbe stato travolto nei vuoti delle frivolezze, né sconciato da uccelli rapaci. In molti
                  modi si sacrifica agli angeli ribelli.


                  Vanità degli uomini

                  18. 28. Ma che c’è di strano, se mi lasciavo attrarre fra le vanità e mi sviavo lontano da te, Dio mio,
                  quando mi venivano proposti a modello certi uomini, i quali, rimproverati di essere caduti, nell’esporre
                  alcune  loro  azioni  non  malvagie,  in  un  barbarismo  o  solecismo,  si  turbavano;  mentre,  lodati  per  aver
                  narrato le proprie sregolatezze con facondia ed eleganza, facendo uso di vocaboli puri e armonizzandoli a
                  dovere, se ne gloriavano? Tu vedi queste cose, Signore, e longanime, misericordiosissimo, veritiero, taci:
                  ma sempre tacerai? ed ora trai da questo baratro spaventoso l’anima che ti cerca, assetata delle tue gioie, il
                  cuore che ti dice: “Ho cercato il tuo volto; il tuo volto, Signore, ricercherò”, perché lontani dal tuo volto
                  si  è  nelle  tenebre  della  passione.  Da  te  ci  allontaniamo  e  a  te  torniamo  senza  muovere  i  piedi,  senza
                  attraversare  spazio  di  luoghi;  oppure  bisogna  intendere  che  il  tuo figlio secondogenito, di cui parla la
                  parabola,  dovette  procacciarsi  davvero  un  cavallo,  un  carro,  una  nave,  o  s’involò  con  ali  visibili,  o
                  percorse la strada col moto delle gambe per dissipare da prodigo, vivendo in un paese lontano, ciò che alla




                  Agostino – Confessioni                                                     pag. 8 di 134
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