Page 12 - Confessioni
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Libro secondo

                  IL SEDICESIMO ANNO



                  L’adolescenza inquieta
                  Scopo di un ricordo disgustoso

                  1. 1. Voglio ricordare il mio sudicio passato e le devastazioni della carne nella mia anima non perché le
                  ami, ma per amare te, Dio mio. Per amore del tuo amore m’induco a tanto, a ripercorrere le vie dei miei
                  gravi delitti. Vorrei sentire nell’amarezza del mio ripensamento la tua dolcezza, o dolcezza non fallace,
                  dolcezza  felice  e  sicura,  che  mi  ricomponi  dopo  il  dissipamento  ove  mi  lacerai  a  brano  a  brano.
                  Separandomi da te, dall’unità, svanii nel molteplice quando, durante l’adolescenza, fui riarso dalla brama
                  di saziarmi delle cose più basse e non ebbi ritegno a imbestialirmi in diversi e tenebrosi amori. La mia
                  bella forma si deturpò e divenni putrido marciume ai tuoi occhi, mentre piacevo a me stesso e desideravo
                  piacere agli occhi degli uomini.


                  Fermenti oscuri

                  2. 2. Che altro mi dilettava allora, se non amare e sentirmi amato? Ma non mi tenevo nei limiti della
                  devozione  di  anima  ad  anima,  fino  al  confine  luminoso  dell’amicizia.  Esalavo  invece  dalla  paludosa
                  concupiscenza della carne e dalle polle della pubertà un vapore, che obnubilava e offuscava il mio cuore.
                  Non  si  distingueva  più  l’azzurro  dell’affetto  dalla  foschia  della  libidine.  L’uno  e  l’altra  ribollivano
                  confusamente  nel  mio  intimo  e  la  fragile  età  era  trascinata  fra  i  dirupi  delle  passioni,  sprofondata  nel
                  gorgo  dei  vizi.  La  tua  collera  si  era  aggravata  su  di  me  senza  che  me  ne  avvedessi.  Assordato  dallo
                  stridore della catena della mia mortalità, con cui era punita la superbia della mia anima, procedevo sempre
                  più lontano da te, ove mi lasciavi andare, e mi agitavo, mi sperdevo, mi spandevo, smaniavo tra le mie
                  fornicazioni; e tu tacevi. O mia gioia tardiva, tacevi allora, mentre procedevo ancora più lontano da te
                  moltiplicando  gli  sterili  semi  delle  sofferenze,  altero  della  mia  abiezione  e  insoddisfatto  della  mia
                  spossatezza.

                  2. 3. Chi avrebbe potuto temperare il mio affanno, volgere in un bene per me le fugaci bellezze delle
                  creature  più  basse,  proporre  una  meta  ai  piaceri che ne traevo, in modo che i flutti della mia età non
                  montassero  oltre  il  lido  del  matrimonio,  contenendosi,  se  non  potevano  placarsi,  entro  i  termini  della
                  procreazione  di  una  prole  secondo  il  precetto  della  tua  legge?  Tu,  Signore,  regoli  anche  i  tralci  della
                  nostra  morte  e  sai  porre  una mano leggera sulle spine bandite dal tuo paradiso, per smussarle. La tua
                  onnipotenza non è lontana da noi neppure quando noi siamo lontani da te. Oh, almeno fossi stato più desto
                  ad ascoltare i tuoni delle tue nubi: In questo stato soffriranno tuttavia le tribolazioni della carne che io
                  vorrei invece risparmiarvi; e: È bene per l’uomo non toccare donna; e: Chi non ha moglie, pensa alle
                  cose di Dio, come piacere a Dio; chi invece è vincolato dal matrimonio, pensa alle cose del mondo, come
                  piacere alla moglie. Più desto ad ascoltare queste voci e mutilato per amore del regno dei cieli, avrei
                  atteso più lietamente i tuoi amplessi.
                  2. 4. Invece mi scatenai, sventurato, abbandonandomi all’impeto della mia corrente e staccandomi da te;
                  superai  tutti  i  limiti  della  tua  legge  senza  sfuggire,  naturalmente,  alle  tue  verghe:  e  quale  mortale  vi
                  riuscirebbe? Tu eri sempre presente con i tuoi pietosi tormenti, cospargendo delle più ripugnanti amarezze
                  tutte le mie delizie illecite per indurmi alla ricerca della delizia che non ripugna. Dove l’avessi trovata,
                  non avrei trovato che te, Signore, te, che dài per maestro il dolore e colpisci per guarire e ci uccidi per
                  non lasciarci morire senza di te. Dove ero, in quale esilio remoto dalle dolcezze della tua casa trascorsi
                  quel  sedicesimo  anno  di  età  della  mia  carne,  quando  prese  il  dominio  su  di  me,  ed  io  mi  arresi  a  lei
                  totalmente,  la  follia  della  libidine,  ammessa  dall’onorabilità  pervertita  degli  uomini,  ma  non  dalle  tue
                  leggi? I miei genitori non si curarono di contenere quella frana col matrimonio; si curarono unicamente
                  che imparassi a comporre i migliori sermoni e a convincere con belle parole.


                  Interruzione degli studi





                  Agostino – Confessioni                                                    pag. 10 di 134
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