Page 17 - Confessioni
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Libro terzo
STUDENTE A CARTAGINE
Svaghi studenteschi
Desiderio e godimento d’amore
1. 1. Giunsi a Cartagine, e dovunque intorno a me rombava la voragine degli amori peccaminosi. Non
amavo ancora, ma amavo di amare e con più profonda miseria mi odiavo perché non ero abbastanza
misero. Amoroso d’amore, cercavo un oggetto da amare e odiavo la sicurezza, la strada esente da tranelli.
Avevo dentro di me un appetito insensibile al cibo interiore, a te stesso, Dio mio, e quell’appetito non mi
affamava, bensì ero senza desiderio di cibi incorruttibili, né già per esserne pieno; anzi, quanto più ne ero
digiuno, tanto più ne ero nauseato. Malattia della mia anima: coperta di piaghe, si gettava all’esterno con
la bramosia di sfregarsi miserabilmente a contatto delle cose sensibili, che pure nessuno amerebbe, se non
avessero un’anima. Amare ed essere amato mi riusciva più dolce se anche del corpo della persona amata
potevo godere. Così inquinavo la polla dell’amicizia con le immondizie della concupiscenza, ne offuscavo
il chiarore con il Tartaro della libidine. Sgraziato, volgare, smaniavo tuttavia, nella mia straripante vanità,
di essere elegante e raffinato. Quindi mi gettai nelle reti dell’amore, bramoso di esservi preso. Dio mio,
misericordia mia, nella tua infinita bontà di quanto fiele non ne aspergesti la dolcezza! Fui amato,
raggiunsi di soppiatto il nodo del piacere e mi avvinsi giocondamente con i suoi dolorosi legami, ma per
subire i colpi dei flagelli arroventati della gelosia, dei sospetti, dei timori, dei furori, dei litigi.
L’insana passione del teatro
2. 2. Mi attiravano gli spettacoli teatrali, colmi di raffigurazioni delle mie miserie e di esche del mio
fuoco. Come avviene che a teatro l’uomo cerca la sofferenza contemplando vicende luttuose e tragiche? e
che, se pure non vorrebbe per conto suo patirle, quale spettatore cerca di patirne tutto il dolore, e proprio
il dolore costituisce il suo piacere? Strana follia, non altro, è questa. A quei casi si commuove infatti di
più chi è meno immune dalle passioni che agitano; eppure, mentre di solito si definisce miseria la propria
sofferenza, le sofferenze per gli altri si definiscono misericordia. Ma infine, dov’è la misericordia nella
finzione delle scene? Là non si è sollecitati a soccorrere, ma soltanto eccitati a soffrire, e si apprezza tanto
più l’attore di quelle figurazioni, quanto più si soffre, e se la rappresentazione di sventure remote nel
tempo oppure immaginarie non lo fa soffrire, lo spettatore si allontana disgustato e imprecando; se invece
soffre, rimane attento e godendo piange.
La compassione
2. 3. Dunque amiamo anche la sofferenza. Indubbiamente qualsiasi uomo vuole godere, e misero non
piace esserlo a nessuno, però ci piace di essere pietosi: forse perché, non essendovi misericordia senza
sofferenza, per ciò solo amiamo di soffrire? Anche questo è un rivo che sgorga dall’amicizia, ma dove
diretto? dove corre? perché sfocia in un fiume di pece bollente, in gorghi immani di oscuri piaceri, ove si
muta e trasforma per proprio impeto, deviando e decadendo dalla sua limpidezza celeste? Bisogna dunque
ripudiare la misericordia? Niente affatto. Amiamo talvolta la sofferenza, ma, anima mia, guàrdati
dall’impurità tenendoti sotto la protezione del Dio mio, il Dio dei padri nostri, degno di lode ed esaltato
per tutti i secoli. Guardati dall’impurità. Ancora oggi infatti provo misericordia; ma allora, nei teatri,
partecipavo alla gioia degli amanti allorché si godevano l’un l’altro immondamente, anche se ciò avveniva
soltanto nell’illusione del gioco scenico, e viceversa, quasi misericordioso, mi contristavo allorché si
lasciavano, in entrambi i casi provando diletto tuttavia. Oggi invece provo maggior compassione di chi
gode nell’immondezza, che non di chi si crede sventurato per la privazione di un piacere dannoso o la
perdita di una triste felicità. Qui si ha certamente una misericordia più vera; ma la sua sofferenza non
produce diletto. Se si loda chi soffre della miseria altrui perché compie un dovere di carità, tuttavia una
misericordia genuina preferirebbe che mancassero i motivi di sofferenza. Soltanto se esistesse una bontà
maligna, che non può esistere, potrebbe anche, chi prova una misericordia vera e sincera, desiderare
l’esistenza dei miseri per provarne misericordia. Si può dunque approvare il dolore in alcune circostanze,
Agostino – Confessioni pag. 15 di 134