Page 11 - Confessioni
P. 11
partenza gli avevi dato, padre amabile per i tuoi doni, più amabile al suo desolato ritorno. No, gli bastò
vivere nella sregolatezza della passione, perché questo è davvero un vivere tenebroso, ed è vivere lontano
dal tuo volto.
18. 29. Guarda, Signore Dio, e pazientemente, come guardi, guarda il rigore con cui da un lato i figli degli
uomini osservano le leggi delle lettere e delle sillabe, ricevute da chi prima di loro usò le parole; e la
noncuranza che dall’altro dimostrano verso le leggi eterne della salvezza perpetua, ricevute da te. Così se
uno di coloro che conoscono e insegnano le antiche convenzioni dei suoni, pronuncia homo senza aspirare
la prima sillaba a dispetto delle regole grammaticali, gli uomini ne sono urtati più che se, uomo, odia un
altro uomo a dispetto dei tuoi precetti: quasi che il peggiore dei nemici potesse danneggiarlo più dell’odio
stesso che lo eccita contro di lui, o si potesse rovinare un estraneo perseguitandolo, più di quanto si rovini
il proprio cuore inasprendolo. Certo la scienza delle lettere non è impressa più addentro in noi di ciò che
sta scritto nella nostra coscienza, cioè che agli altri facciamo quanto non vorremmo subire. Come sei
nascosto tu, che abiti tacito nei cieli più alti, Dio solo grande, che con legge instancabile spargi tenebre
punitrici sulle passioni illecite, mentre un uomo in cerca di gloria nell’eloquenza, innanzi a un altro uomo
in veste di giudice e in mezzo a una moltitudine di uomini che lo attorniano, si accanisce con odio bestiale
contro un suo nemico ed evita con la massima circospezione di cadere in un fallo di pronuncia, dicendo
“inter omines”, ma non evita di sottrarre al consorzio umano un uomo per i furori della propria mente!
I peccati del fanciullo
19. 30. Sulla soglia di una simile scuola di moralità io, povero fanciullo, ero disteso; e in una tale arena si
svolgeva il mio addestramento, ov’ero più timoroso di cadere in un’improprietà di linguaggio, che attento
a evitare, nel cadervi, l’invidia verso chi non vi cadeva. Dico questo, Dio mio, e ti confesso di che mi
lodavano le persone, il cui compiacimento costituiva allora per me l’onore della vita. Non scorgevo la
voragine d’ignominia in cui mi ero proiettato lontano dai tuoi occhi. Al loro sguardo nulla ormai doveva
essere più deforme di me, se giunsi a dispiacere persino a quella gente con le innumerevoli menzogne
usate per ingannare il pedagogo e i maestri e i genitori, tanto era grande il mio amore per il gioco, la mia
passione per gli spettacoli frivoli e la smania d’imitare gli attori. Commisi persino qualche furto dalla
dispensa e dalla tavola dei miei genitori, ora spinto dalla gola, ora per procurarmi qualcosa da distribuire
agli altri fanciulli, che vendevano i loro giochi, sebbene vi trovassero un diletto pari al mio. Nel gioco
stesso, dominato dal vano desiderio di eccellere, spesso carpivo arbitrariamente la vittoria con la frode.
Eppure nulla ero così restio a sopportare, e nulla redarguivo così aspramente negli altri, se li sorprendevo,
come ciò che facevo loro; mentre, se ero io ad essere sorpreso e redarguito, preferivo infierire, piuttosto di
cedere. E questa sarebbe l’innocenza dei fanciulli? No, Signore, non lo è, dimmelo tu, Dio mio. È sempre
la stessa cosa, che dai pedagoghi e dai maestri, dalle noci e dalle pallottoline e dai passeri si trasferisce ai
governatori e ai re, all’oro, ai poderi, agli schiavi, assolutamente la stessa cosa, pur nel succedersi di età
più gravi, come succedono alle verghe più gravi supplizi. Perciò tu, re nostro, nella statura dei fanciulli hai
approvato soltanto il simbolo dell’umiltà, quando hai detto: “Di chi assomiglia a costoro è il regno dei
cieli”.
Ringraziamento a Dio per tutti i suoi doni
20. 31. Eppure, Signore, a te eccellentissimo, ottimo creatore e reggitore dell’universo, a te Dio nostro,
grazie, anche se mi avessi voluto soltanto fanciullo. Perché anche allora esistevo, vivevo, sentivo, avevo a
cuore la preservazione del mio essere immagine della misteriosissima unità da cui provenivo; vigilavo con
l’istinto interiore sull’integrità dei miei sensi, e persino in quei piccoli pensieri, su piccoli oggetti, godevo
della verità; non volevo essere ingannato, avevo una memoria vivida, ero fornito di parola, m’intenerivo
all’amicizia, evitavo il dolore, il disprezzo, l’ignoranza. Cosa vi era in un tale essere, che non fosse
ammirevole e pregevole? E tutti sono doni del mio Dio, non io li ho dati a me stesso. Sono beni, e tutti
sono io. Dunque è buono chi mi fece, anzi lui stesso è il mio bene, e io esulto in suo onore per tutti i beni
di cui anche da fanciullo era fatta la mia esistenza. Il mio peccato era di non cercare in lui, ma nelle sue
creature, ossia in me stesso e negli altri, i diletti, i primati, le verità, precipitando così nei dolori, nelle
umiliazioni, negli errori. A te grazie, dolcezza mia e onore mio e fiducia mia, Dio mio, a te grazie dei tuoi
doni. Tu però conservameli, così conserverai me pure, e tutto ciò che mi hai donato crescerà e si
perfezionerà, e io medesimo sussisterò con te, poiché tu mi hai dato di sussistere.
Agostino – Confessioni pag. 9 di 134