Page 9 - Confessioni
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13. 22. Ma ora nell’anima mia gridi il mio Dio, la tua verità mi dica che non è così, che non è così. È
certamente migliore l’altro insegnamento, il primo. Infatti eccomi ora disposto a scordare gli errori di
Enea e ogni racconto del genere, piuttosto che il modo di scrivere e leggere. Sull’ingresso delle scuole di
grammatica pendono alcune cortine. Esse non simboleggiano tanto la solennità dei misteri che si svolgono
all’interno, quanto velano gli errori che si commettono. E non schiamazzino contro di me, che più non li
temo, mentre ti confesso le aspirazioni dell’anima mia, Dio mio, e trovo pace nel condannare le mie storte
vie per innamorarmi delle tue diritte, non schiamazzino contro di me i venditori e i compratori di
grammatica. Perché se io chiederò loro: “Venne mai davvero Enea a Cartagine, come asserisce il poeta?”,
gli indotti risponderanno di ignorarlo, i più dotti affermeranno addirittura che no davvero; se invece
domanderò con quali lettere si scrive il nome di Enea, tutti coloro che hanno appreso l’alfabeto mi
risponderanno esattamente, secondo le norme con cui gli uomini convennero tra loro di fissarne i segni.
Così pure, se domanderò quale di queste due conoscenze sarebbe più dannoso per la vita dimenticare, se
la lettura e la scrittura oppure le invenzioni dei poeti citate sopra, chi non sa quale sarebbe la risposta di
chiunque non abbia perduto completamente il senno? Io peccavo dunque da fanciullo nel prediligere le
vacuità dei poeti alle arti più utili, o meglio, nell’odiare decisamente le seconde e nell’amare le prime.
L’”uno più uno due, due più due quattro” era una cantilena odiosa per me, mentre era spettacolo
dolcissimo, eppur vano, il cavallo di legno pieno di armati, l’incendio di Troia e l’ombra di lei, di Creusa.
Difficoltà nello studio del greco
14. 23. Come mai, dunque, provavo avversione per le lettere greche, ove pure si cantano i medesimi temi?
Omero, ad esempio, è un abile tessitore di favolette del genere, dolcissimo nella sua vanità; eppure per me
fanciullo era amaro. Credo avvenga altrettanto di Virgilio per i fanciulli greci, quando sono costretti a
impararlo come io il loro poeta. Era cioè la difficoltà, proprio la difficoltà d’imparare una lingua straniera
ad aspergere, dirò così, di fiele tutte le squisitezze greche contenute in quei versi favolosi. Io non
conoscevo alcuna di quelle parole, e mi s’incalzava furiosamente per farmele imparare con minacce e
castighi crudeli. Prima, durante l’infanzia, anche di latino non conoscevo nessuna parola, ma con un poco
di attenzione le imparai senza bisogno d’intimidazioni e torture, anzi fra carezze di nutrici, festevolezze di
sorrisi e allegria di giochi. Dunque le imparai senza il peso di castighi e sollecitazioni, perché il mio cuore
stesso mi sollecitava a dare alla luce i suoi pensieri. Ma non ne avrebbe avuto la via, se non avessi
imparato qualche vocabolo, più che a scuola da chi insegnava, dalla voce di chi parlava, nelle cui orecchie
a mia volta deponevo i miei sentimenti. Ne emerge in modo abbastanza chiaro che per imparare queste
nozioni vale più la libera curiosità che la pedante costrizione; ma il flusso della prima è contenuto
dall’altra secondo le tue leggi, o Dio, le tue leggi. Dalle verghe dei maestri fino alle torture dei martiri le
tue leggi sanno combinare amari salubri, che ci richiamano a te dopo le dolcezze pestifere che da te ci
hanno allontanato.
Tutto al servizio di Dio
15. 24. Ascolta, Signore, la mia implorazione: non venga meno la mia anima sotto la tua disciplina, non
venga meno io nel confessarti gli atti della tua commiserazione, con cui mi togliesti dalle mie pessime
strade. Che tu mi riesca più dolce di tutte le attrazioni dietro a cui correvo; che io ti ami fortissimamente e
stringa con tutto il mio intimo essere la tua mano; che tu mi scampi da ogni tentazione fino alla fine. Ecco,
non sei tu, Signore, il mio re e il mio Dio? Al tuo servizio sia rivolto quanto di utile imparai da fanciullo,
sia rivolta la mia capacità di parlare e scrivere e leggere e computare. Mentre io imparavo delle vanità, tu
mi davi una disciplina, e i diletti peccaminosi che in quella vanità io trovai, tu me li hai perdonati. Sì, se
appresi per loro mezzo molti vocaboli utili, è possibile apprenderli anche attraverso materie meno vane, e
questa è la via sicura, per cui i fanciulli dovrebbero camminare.
La poesia corrotta e corruttrice
16. 25. Ma guai a te, fiumana delle consuetudini umane! Chi ti resisterà? fino a quando non ti seccherai,
fino a quando travolgerai i figli di Eva nel vasto e terribile mare, che appena riescono a traversare coloro
che si sono imbarcati sul legno? Non ho letto fra le tue onde di un Giove tonante e adultero? due atti che
non poteva davvero compiere simultaneamente, eppure glieli fecero compiere, perché ottenesse credito il
modello di un adulterio vero col lenocinio di un tuono falso. Chi però fra i maestri paludati ascolta senza
alterarsi un uomo che dalla sua stessa lizza proclama ad alta voce: “Queste sono invenzioni di Omero, il
Agostino – Confessioni pag. 7 di 134