Page 109 - Confessioni
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ora una seconda voce, che cominciò a risuonare e risuona tuttavia con tono uniforme, senza alcuna
variazione. Misuriamola finché risuona, poiché, appena avrà cessato di risuonare, sarà ormai passata e non
sarà più, in modo che si possa misurare! Misuriamola, presto, e indichiamone la durata. Ma sta risuonando
ancora: non si può misurarla, se non partendo dall’inizio della sua esistenza, ossia dal momento in cui
cominciò a risuonare, e giungendo alla fine, ossia al momento in cui cessa. Gli intervalli si misurano
appunto da un certo inizio e a un certo fine; quindi una voce non ancora finita non può essere misurata,
non si può dire quanto sia lunga o breve, né dire se sia uguale a un’altra, o semplice o doppia o comunque
diversa rispetto a un’altra. Ma una volta finita non sarà più. Come si potrà misurarla allora? Eppure
misuriamo il tempo: non quello che non è ancora, né quello che non è più, né quello che non si estende in
durata, né quello che non ha limiti; cioè non lo misuriamo né futuro, né passato, né presente, né passante;
eppure lo misuriamo, il tempo.
27. 35. Deus creator omnium: in questo verso si alternano otto sillabe brevi e lunghe: le quattro brevi,
cioè la prima, terza, quinta e settima, semplici rispetto alle quattro lunghe, cioè la seconda, quarta, sesta e
ottava. Di queste ultime ognuna dura un tempo doppio rispetto a ognuna delle prime, come annuncio
mentre le pronuncio, e come è, secondo che ci fanno intendere manifestamente i sensi. Come manifestano
i sensi, io misuro la sillaba lunga mediante la breve, sentendo che la lunga ha una durata doppia della
breve. Ma una sillaba risuona dopo un’altra; se prima è la breve, la lunga dopo, come trattenere la breve?
e come applicarla sulla lunga per misurarla e trovare così che ha una durata doppia, se la lunga comincia a
risuonare soltanto quando la breve cessò di risuonare? e la stessa sillaba lunga la misuro quando è
presente, mentre non la misuro che finita? Ma quando è finita è passata. Cosa misuro dunque? Dov’è la
breve, che uso per misurare? dov’è la lunga, che devo misurare? Entrambe risuonarono, svanirono,
passarono, non sono più. Eppure io misuro e rispondo, con tutta la fiducia che si ha in un senso esercitato,
che una è semplice, l’altra doppia, in estensione temporale, s’intende: cosa che posso fare solo in quanto
sono passate e finite. Dunque non misuro già le sillabe in sé, che non sono più, ma qualcosa nella mia
memoria, che resta infisso.
Nello spirito la misura del tempo
27. 36. È in te, spirito mio, che misuro il tempo. Non strepitare contro di me: è così; non strepitare contro
di te per colpa delle tue impressioni, che ti turbano. È in te, lo ripeto, che misuro il tempo. L’impressione
che le cose producono in te al loro passaggio e che perdura dopo il loro passaggio, è quanto io misuro,
presente, e non già le cose che passano, per produrla; è quanto misuro, allorché misuro il tempo. E questo
è dunque il tempo, o non è il tempo che misuro. Ma quando misuriamo i silenzi e diciamo che tale silenzio
durò tanto tempo, quanto durò tale voce, non concentriamo il pensiero a misurare la voce, come se
risuonasse affinché noi possiamo riferire qualcosa sugli intervalli di silenzio in termine di estensione
temporale? Anche senza impiego della voce e delle labbra noi percorriamo col pensiero poemi e versi e
discorsi, riferiamo tutte le dimensioni del loro sviluppo e le proporzioni tra i vari spazi di tempo,
esattamente come se li recitassimo parlando. Chi, volendo emettere un suono piuttosto esteso, ne ha prima
determinato l’estensione col pensiero, ha certamente riprodotto in silenzio questo spazio di tempo, e
affidandolo alla memoria comincia a emettere il suono, che si produce finché sia condotto al termine
prestabilito: o meglio, si produsse e si produrrà, poiché la parte già compiuta evidentemente si è prodotta,
quella che rimane si produrrà. Così si compie. La tensione presente fa passare il futuro in passato, il
passato cresce con la diminuzione del futuro, finché con la consumazione del futuro tutto non è che
passato.
Attesa, attenzione, memoria
28. 37. Ma come diminuirebbe e si consumerebbe il futuro, che ancora non è, e come crescerebbe il
passato, che non è più, se non per l’esistenza nello spirito, autore di questa operazione, dei tre momenti
dell’attesa, dell’attenzione e della memoria? Così l’oggetto dell’attesa fatto oggetto dell’attenzione passa
nella memoria. Chi nega che il futuro non esiste ancora? Tuttavia esiste già nello spirito l’attesa del futuro.
E chi nega che il passato non esiste più? Tuttavia esiste ancora nello spirito la memoria del passato. E chi
nega che il tempo presente manca di estensione, essendo un punto che passa? Tuttavia perdura
l’attenzione, davanti alla quale corre verso la sua scomparsa ciò che vi appare. Dunque il futuro,
inesistente, non è lungo, ma un lungo futuro è l’attesa lunga di un futuro; così non è lungo il passato,
inesistente, ma un lungo passato è la memoria lunga di un passato.
Agostino – Confessioni pag. 107 di 134