Page 106 - Confessioni
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questo, che sovente premeditiamo i nostri atti futuri, e che tale meditazione è presente, mentre non lo è
                  ancora l’atto premeditato, poiché futuro. Solo quando l’avremo intrapreso, quando avremo incominciato
                  ad attuare il premeditato, allora esisterà l’atto, poiché allora non sarà futuro, ma presente.

                  La predizione del futuro
                  18. 24. Qualunque sia la natura di questo arcano presentimento del futuro, certo non si può vedere se non
                  ciò che è. Ora, ciò che è, non è futuro, ma presente, e così, allorché si dice di vedere il futuro, non si
                  vedono le cose, ancora inesistenti, cioè future, ma forse le loro cause o i segni, già esistenti. Perciò si
                  vedono non cose future, ma cose già presenti al veggente, che fanno predire le future immaginandole con
                  la mente. Queste immaginazioni a loro volta già esistono, e chi predice le vede presenti innanzi a sé. Mi
                  suggerisca qualche esempio l’innumerevole massa dei fatti. Se osservo l’aurora, preannuncio la levata del
                  sole. L’oggetto della mia osservazione è presente; quello della mia predizione, futuro: non futuro il sole,
                  che esiste già, ma la sua levata, che non esiste ancora. Però non potrei predire nemmeno la levata senza
                  immaginarla dentro di me come ora che ne parlo. Eppure né l’aurora che vedo in cielo è la levata del sole,
                  quantunque la preceda, né lo è l’immagine nel mio animo: queste due cose si vedono presenti, per poter
                  definire in anticipo quell’evento futuro. Dunque il futuro non esiste ancora, e se non esiste ancora, non si
                  può per nulla vedere; però si può predire sulla scorta del presente, che già esiste e si può vedere.

                  Il mistero della profezia
                  19.  25.  Quindi  tu,  che  sei  il  re  del  tuo  creato,  in  che  modo  insegni  alle  anime  il  futuro?  L’hai  pure
                  insegnato ai tuoi profeti. In che modo insegni il futuro, se per te nulla è futuro? O meglio, in che modo
                  insegni le cose presenti che riguardano le future? Ciò che non è, non si può evidentemente insegnare. Il
                  tuo procedimento qui è troppo lontano dalla mia vista, ha superato le mie forze, non vi potrò giungere;
                  ma potrò con le tue, quando lo concederai tu, dolce lume dei miei occhi occulti.


                  Un’inesattezza del linguaggio corrente

                  20. 26. Un fatto è ora limpido e chiaro: né futuro né passato esistono. È inesatto dire che i tempi sono tre:
                  passato, presente e futuro. Forse sarebbe esatto dire che i tempi sono tre: presente del passato, presente del
                  presente, presente del futuro. Queste tre specie di tempi esistono in qualche modo nell’animo e non le
                  vedo altrove: il presente del passato è la memoria, il presente del presente la visione, il presente del futuro
                  l’attesa. Mi si permettano queste espressioni, e allora vedo e ammetto tre tempi, e tre tempi ci sono. Si
                  dica  ancora  che  i  tempi  sono  tre:  passato,  presente  e  futuro,  secondo  l’espressione  abusiva  entrata
                  nell’uso; si dica pure così: vedete, non vi bado, non contrasto né biasimo nessuno, purché si comprenda
                  ciò che si dice: che il futuro ora non è, né il passato. Di rado noi ci esprimiamo esattamente; per lo più ci
                  esprimiamo inesattamente, ma si riconosce cosa vogliamo dire.


                  Misurazione di spazi di tempo

                  21. 27. Dissi poc’anzi che misuriamo il tempo al suo passaggio. Così possiamo dire che questa porzione
                  di  tempo  è  doppia  di  quella,  che  è  semplice,  o  lunga  quanto  quella;  oppure,  misurandola,  indicare
                  qualsiasi  altro  rapporto  fra  porzioni  di  tempo.  In  tal  modo,  come  dicevo,  misuriamo  il  tempo  al  suo
                  passaggio. Se mi si chiedesse: “Come lo sai?”, risponderei: “Lo so perché misuriamo, e non possiamo
                  misurare ciò che non è, e non è né il passato né il futuro”. Il tempo presente, poi, come lo misuriamo, se
                  non  ha  estensione?  Lo  si  misura  mentre  passa;  passato,  non  lo  si  misura,  perché  non  vi  sarà  nulla  da
                  misurare. Ma da dove, per dove, verso dove passa il tempo, quando lo si misura? Non può passare che dal
                  futuro, attraverso il presente, verso il passato, ossia da ciò che non è ancora, attraverso ciò che non ha
                  estensione, verso ciò che non è più. Ma noi non misuriamo il tempo in una certa estensione? Infatti non
                  parliamo  di  tempi  semplici,  doppi,  tripli,  uguali,  e  di  altri  rapporti  del  genere,  se  non  riferendoci  a
                  estensioni di tempo. In quale estensione dunque misuriamo il tempo al suo passaggio? Nel futuro, da dove
                  passa?  Ma  ciò  che  non  è  ancora,  non  si  misura.  Nel  presente,  per  dove  passa?  Ma  una  estensione
                  inesistente non si misura. Nel passato, verso dove passa? Ma ciò che non è più, non si misura.






                  Agostino – Confessioni                                                   pag. 104 di 134
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