Page 40 - Commento Mistico al Cantico dei Cantici
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la sua Sposa desidera, vuole sì mangiare di tutto, ma vuole che la Sposa sia presente e
che sia testimone che lui si è nutrito per primo di ciò che vuole far mangiare ai suoi
amici. Ho raccolto, dice, la mia mirra; ma è per voi, o mia Sposa, perché è il vostro
piatto, che è solo di amarezze, dato che in questa vita mortale c’è sempre da soffrire.
Tuttavia la mirra non è mai sola, è sempre accompagnata da profumi molto gradevoli. Il
profumo è per lo Sposo, e la mirra amara è per la Sposa. In quanto a me, dice lo Sposo,
io ho mangiato tutto ciò che c’era di dolce, ho bevuto il vino e il latte, mi sono nutrito
della dolcezza della vostra carità. Felice com’è della generosità della sua Sposa, egli
invita tutti i suoi amici e i suoi figli a venire a nutrirsi e a dissetarsi presso di lei, che è
un giardino pieno di frutti, e innaffiato di latte e di miele. Un’anima di tale forza ha di
che provvedere ai bisogni spirituali di ogni genere di persona, e può dare ottimi consigli
a chiunque le si rivolga.
Questo si può benissimo dire anche della Chiesa, che invita Gesù Cristo a venire a
mangiare il frutto dei suoi alberi di melo, il che non significa altro che raccogliere il
frutto dei suoi meriti grazie alla santificazione dei suoi predestinati, come lui farà nel
suo secondo avvento. Lo Sposo risponde alla sua Sposa carissima che è venuto nel suo
giardino, quando si è incarnato; che ha raccolto la sua mirra con i suoi profumi,
allorquando ha sofferto le mortificazioni della sua passione, che era accompagnata da
infiniti meriti, e il cui odore saliva sino a Dio suo padre. Egli aggiunge: ho mangiato il
mio favo di miele, il che si intende delle sue azioni e della sua dottrina: infatti praticava
ciò che annunziava, e non ordinava nulla a noi che lui non avesse per primo messo in
pratica, facendoci meritare attraverso queste stesse cose da lui praticate la grazia di
quanto egli esige da noi. Cosicché la vita di Gesù Cristo era come un favo di miele, il
cui ordine divino, al pari della dolcezza, era il suo nutrimento e la sua felicità, alla vista
della gloria che suo padre ne riceveva, e dell’utilità che ne traevano gli uomini. Ho
bevuto il mio vino e il mio latte. Qual è questo vino che voi avete bevuto, o divino
Salvatore, e di cui vi inebriaste a tal punto da dimenticarvi di voi stesso? Questo vino fu
l’amore eccessivo che egli aveva per gli uomini, che gli fece dimenticare di essere Dio,
per pensare unicamente alla loro salvezza. Ne fu inebriato a tal punto che di lui è detto,
da un Profeta, che verrà saziato di obbrobri, tanto grande era la sua carità. Lui bevve il
suo vino e il suo latte quando bevve il proprio sangue durante la Cena, che sotto
l’apparenza del vino era un latte verginale. Questo latte fu anche il riversarsi della
divinità di Gesù Cristo sulla sua umanità. Il Divino Salvatore invita tutti i suoi Eletti che
desiderano nutrirsi come lui di sofferenze, di obbrobri e di ignominie, dell’amore dei
suoi esempi e della sua pura dottrina che sarà per loro un vino e un latte delizioso, un
vino che darà loro forza e coraggio per fare ciò che è loro comandato, e del latte che li
incanterà con la dolcezza della dottrina che viene loro insegnata. Noi siamo dunque tutti
invitati ad ascoltare e a imitare Gesù Cristo.
2. Io dormo, e il mio cuore veglia; odo la voce del mio Amato che bussa: apritemi, mia
Sorella, mia Sposa, mia Colomba, mia bella e immacolata: perché il mio capo è tutto
pieno di rugiada, e i miei capelli attorcigliati sono bagnati delle gocce della notte.
L’Anima attenta al suo Dio sperimenta che, sebbene il suo esteriore sembri morto,
inebetito e inerte come un corpo addormentato, tuttavia il suo cuore ha sempre un
vigore segreto e sconosciuto, che lo tiene unito a Dio. Inoltre le anime molto progredite
sperimentano spesso una cosa sorprendente, cioè che di notte esse sono in uno stato di