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venire, perché erano chiamati a partecipare in piena libertà. La chiamata dunque
suscita la volontà prima del merito. Di conseguenza se qualcuno attribuisce a se
stesso di aver corrisposto alla chiamata, non può attribuire a se stesso di essere
stato chiamato. Chi invece non ha risposto all’invito, come non ha avuto alcun
merito per essere chiamato, così inizia a meritare il castigo per aver trascurato
l’invito a venire. Ci saranno così due cose: Canterò, Signore, la tua misericordia e la
tua giustizia . La chiamata dipende dalla misericordia; dalla giustizia dipende la
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felicità di coloro che hanno risposto all’appello e il castigo di coloro che hanno
rifiutato di venire. Non si rendeva forse conto il Faraone dei vantaggi derivati al
suo paese dalla venuta di Giuseppe ? La conoscenza di questo fatto costituiva
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dunque per lui l’appello a non essere ingrato, trattando con indulgenza il popolo
d’Israele. Rifiutando di corrispondere a quest’invito e rendendosi crudele verso
coloro ai quali doveva umanità e indulgenza, ha meritato come punizione
l’indurimento del suo cuore e una tale cecità di spirito da non credere ai numerosi
e così grandi ed evidenti prodigi di Dio. Con questo castigo dell’ostinazione e del
suo definitivo e visibile naufragio in mare, si poteva istruire il popolo che, a
motivo della sua sofferenza, il Faraone aveva meritato, sia l’occulta ostinazione del
cuore che la manifesta scomparsa tra i flutti .
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6. Ora questa chiamata, rivolta secondo l’opportunità dei tempi, sia agli individui
che ai popoli e all’intero genere umano, è segno di una disposizione elevata e
profonda. Ad essa si riferiscono anche queste parole: Io ti ho santificato nel seno
materno ; e: Ti ho visto quando eri ancora nei lombi di tuo padre e: Ho amato Giacobbe
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e ho odiato Esaù , che sono state pronunciate prima che essi nascessero. Forse
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possono comprenderle soltanto coloro che amano il Signore loro Dio con tutto il
cuore, con tutta l’anima e con tutta la loro mente e amano il prossimo come se
stessi . Fondati in una così grande carità forse possono già comprendere con i
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santi la lunghezza, l’ampiezza, l’altezza e la profondità . Bisogna però ritenere
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con fermissima fede che Dio non fa nulla d’ingiusto e che non c’è alcuna natura che
non debba a Dio ciò che è. A Dio si deve infatti ogni splendore, bellezza e armonia
delle parti: se tu l’analizzerai a fondo e la eliminerai dalle cose fino alle ultime
parti, non rimane più nulla.
69. - SUL TESTO: ALLORA LO STESSO FIGLIO SARÀ SOTTOMESSO
A COLUI CHE GLI HA SOTTOMESSO OGNI COSA
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1. Coloro che ribattono che il Figlio di Dio non è uguale al Padre, di solito
ricorrono con maggior dimestichezza a questo testo dell’Apostolo che afferma: E
quando tutto gli sarà stato sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a colui che gli ha
sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti. Non potrebbe infatti sorgere in loro
l’errore mascherato del nome cristiano, se non per una cattiva interpretazione della
Scrittura. Dicono infatti: Se è uguale, come mai gli sarà sottomesso? La domanda è
simile senza dubbio a quella del Vangelo: Se è uguale, come mai il Padre è più
grande? Il Signore in persona dice: Il Padre è più grande di me . Ora la regola della
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fede cattolica è questa: quando nelle Scritture si afferma qualcosa per cui il Figlio è