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ragione e neppure agli stolti dotati di ragione. Nessuno poi può utilizzare una cosa
se ignora a che cosa debba riferirla, e nessuno può saperlo all’infuori del sapiente.
Di coloro perciò che fanno cattivo uso delle cose si dice di solito e più giustamente
che ne abusano. Il cattivo uso infatti non giova a nessuno, e ciò che non giova non
è certamente utile. Invece ciò che è utile è utile perché si usa e nessuno utilizza se
non ciò che è utile; chi poi ne usa male, in realtà non ne fa uso. La perfetta ragione
dell’uomo, che si chiama virtù, si serve innanzitutto di se stessa per conoscere Dio
e godere di colui dal quale è stata anche creata. Si serve poi degli altri esseri
ragionevoli in funzione della società, e degli esseri irrazionali in funzione della
supremazia. Orienta inoltre la sua vita al godimento di Dio: solo così infatti è felice.
Si serve dunque anche di se stessa e sicuramente dà inizio alla propria miseria, a
causa della superbia, se si rivolge a se stessa e non a Dio. Fa uso anche di alcuni
corpi, che essa vivifica per fare del bene (così infatti fa uso del proprio corpo): ne
accoglie alcuni e rifiuta altri in vista della salute, alcuni sopporta con pazienza, altri
ordina alla giustizia, altri indaga per approfondire qualche verità; si serve anche di
ciò da cui si astiene in vista della temperanza. In tal modo si serve di tutto ciò che
passa o non passa attraverso i sensi: non c’è una terza possibilità. Giudica poi tutte
le cose che utilizza. Essa non giudica solo Dio, perché in rapporto a Dio giudica
tutto il resto: di lui non fa uso, ma gode. Dio infatti non si deve riferirlo ad altro,
perché tutto ciò che si riferisce ad altro è inferiore a quello a cui viene riferito. Non
c’è niente di superiore a Dio, non dal punto di vista dello spazio, ma
dell’eccellenza della sua natura. Tutto ciò che è stato creato è dunque stato creato
ad uso dell’uomo, perché la ragione, che è stata data all’uomo, fa uso di tutto
giudicando di tutto. Prima della caduta l’uomo non faceva uso delle cose da
sopportare, dopo la caduta ne fa uso solo se si è convertito e, ancor prima della
morte del corpo, è diventato, per quanto è possibile, amico di Dio, servendolo
volentieri.
31. - TEORIA DI CICERONE SULLA DIVERSITÀ E DEFINIZIONE
DELLE VIRTÙ DELL’ANIMA (De invent. 2, 53, 159 - 55, 167)
1. " La virtù è un abito dell’animo conforme al modo di essere della natura e della
ragione. Conosciute quindi tutte le sue parti, sarà presa in considerazione tutta la
forza della semplice onestà. Ora la virtù consta di quattro parti: prudenza,
giustizia, fortezza, temperanza. La prudenza è la scienza delle cose buone, cattive e
indifferenti. Sue parti sono la memoria, l’intelligenza e la previsione. La memoria è
la facoltà dell’animo che rievoca le cose passate; l’intelligenza è la facoltà che
comprende le cose presenti; la previsione è la facoltà che percepisce un evento
futuro prima che accada. La giustizia è un abito dell’animo mantenuto per l’utilità
sociale, che dà a ciascuno il suo merito. Ha origine dalla stessa natura: alcune cose
poi sono diventate consuetudini per ragione di utilità; in seguito il rispetto delle
leggi e la religione hanno consacrato ciò che era scaturito dalla natura e approvato
dalla consuetudine. Il diritto naturale non è originato dall’opinione, ma è radicato
da una forza innata, come la religione, la pietà, la gratitudine, la punizione del
male, il rispetto, la sincerità. La religione insegna la venerazione e il culto di una