Page 75 - La preparazione dell’anima alla Contemplazione
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Capitolo LXXXII

                        Sono incomprensibili le cose che la mente vede nell’estasi
                                       grazie alla rivelazione divina

                  Ecco  come  sono  grandi  le  cose  che  avvengono  su  questo  monte,  ma
                  ancora più grandi sono quelle che seguono. Tutto ciò infatti vedono i
                  discepoli, ma non ancora cadono con il volto a terra. Non ancora si ode
                  la voce del Padre, non ancora si prostra colui che l’ascolta. Non ancora
                  muore  Rachele,  non  ancora  nasce  Beniamino.  Non  appena  infatti
                  risuonò,  la  voce  del  Padre  prostrò  i  discepoli.  Al  suono  della  voce
                  divina cade a terra colui che l’ascolta, poiché a ciò che è divinamente
                  ispirato la capacità dell’umana sensibilità soccombe e non dilata il suo
                  seno ad accogliere il segreto d’intelligenza della divina ispirazione se
                  non abbandona le angustie della ragione umana. L’uditore cade dove la
                  ragione umana viene meno. Qui muore Rachele, qui nasce Beniamino.
                  Beniamino infatti è indicato per mezzo della morte di Rachele e per la
                  caduta  dei  discepoli,  poiché  nei  tre  discepoli  è  rappresentato  il  venir
                  meno del senso, della memoria, della ragione. Quivi infatti il senso del
                  corpo,  il  ricordo  delle  cose  esteriori,  la  ragione  umana  cadono,  e  la
                  mente si eleva, rapita oltre se stessa, verso le cose più alte. Prestiamo
                  attenzione  a  come  sia  comprensibile  ciò  che  dice  la  voce  paterna  e
                  intendiamo come l’uditore necessariamente cada: Questo è il mio Figlio
                  diletto, — disse — nel quale Io mi sono compiaciuto (Mt. 17,5). Altro è
                  dire mi sono compiaciuto, altro è si è compiaciuto; e tuttavia un Evan-
                  gelista ha detto in un modo, l’altro nell’altro.
                  Ne viene che, se veramente disse mi sono compiaciuto, il senso che è
                  posto dall’altro evangelista può essere ben inteso, secondo verità, ma
                  non  a  questo  ricondotto.  In  verità  e  senza  contraddizione,  in  lui  ho
                  trovato compiacimento significa: mi sono compiaciuto. Ma non in tutti:
                  ho trovato compiacimento significa: mi sono compiaciuto. Se dunque
                  non  fosse  stato  detto  mi  sono  compiaciuto,  in  nessun  modo
                  l’Evangelista avrebbe osato dire: Questo è mio Figlio nel quale mi sono
                  compiaciuto (Mt 17,5). Certo, se il figlio fosse altro dal Padre, potrebbe
                  compiacere  il  Padre  nel  Figlio,  ma  lo  stesso  Padre  non  potrebbe
                  compiacere  se  stesso  nel  Figlio.  Che  significa  infatti  dire:  mi  sono
                  compiaciuto se non proprio: sono piaciuto a me in me stesso, cioè sono
                  piaciuto a me nel Figlio?
                  O  forse  nel  dire:  mi  sono  compiaciuto,  mostra  di  averlo  come  suo
                  compagno nel suo compiacimento? Perché come il Padre si compiace
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