Page 68 - La preparazione dell’anima alla Contemplazione
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viene  quella  grande  ansietà  della  partoriente  e  la  grandezza  del  suo
                  dolore. Da dove credi che venga un così grande dolore se non da una
                  ricerca che mai non cessa e da un desiderio impaziente? Cresce ogni
                  giorno il travaglio in ragione del desiderio, e in ragione del travaglio,
                  cresce  il  dolore.  Aumenta  sempre  il  desiderio  dalla  ricerca  e  dal
                  desiderio la ricerca. Rachele sa che tutto ciò trascende le sue forze, ma
                  non può moderare né la sua ricerca né il suo desiderio. Infatti a tanta
                  grazia la mente non giunge mai con le sue sole forze. È un dono di Dio,
                  non un merito dell’uomo. Senza dubbio però, nessuno riceve una tale e
                  cosa grande grazia senza un immenso e attivo desiderio. Rachele lo sa e
                  per questo moltiplica i suoi sforzi ed alimenta ogni giorno la fiamma
                  del suo desiderio. Nell’ansietà di tali quotidiani sforzi e nell’immensità
                  di questo dolore, nasce Beniamino e muore Rachele, perché quando la
                  mente  dell’uomo  è  sollevata  sopra  se  stessa,  sopravanza  tutte  le
                  angustie della ragione umana.  La ragione umana soccombe davanti a
                  quella parte della mente che si è elevata sopra di sé e, rapita nell’estasi,
                  guarda la luce della divinità. La morte di Rachele è infatti il venir meno
                  della ragione.


                                            Capitolo LXXIV

                         Del genere di contemplazione che sta sopra la ragione

                  Con la nascita di Beniamino muore dunque Rachele, perché la mente,
                  rapita  alla  contemplazione  sperimenta  quale  sia  il  venir  meno
                  dell’umana  ragione.  Non  era  forse  morta  Rachele  e  non  era  venuta
                  meno ogni sensibilità dell’umana ragione nell’Apostolo che dice: Se nel
                  corpo o fuori del corpo non so, Dio lo sa (2 Cor. 12,3)?
                  Nessuno  dunque  creda  di  poter  penetrare  nel  chiarore  di  quella  luce
                  divina  mediante  argomentazioni,  e  nessuno  pensi  di  poterla
                  comprendere con la ragione umana. Se infatti si potesse giungere con
                  qualche argomentazione a quel lume divino, non sarebbe assolutamente
                  inaccessibile. Per questo l’Apostolo si gloria non tanto di essere salito a
                  quella luce, ma di essere stato ad essa, senza dubbio, rapito. So — disse
                  — che fui rapito, se nel corpo o fuori del corpo non so, Dio lo sa, fino
                  al terzo cielo (ibid.). Ma questo terzo cielo che si stende tra la terra e il
                  cielo, è ciò che sussiste tra il corpo e lo spirito. Ma altra è la dignità
                  dello  spirito  umano,  altra  è  la  dignità  dello  spirito  angelico  e  molto
                  superiore  la  dignità  dello  spirito  divino.  L’eccellenza  della  natura
                  angelica  di  gran  lunga  sopravanza  la  dignità  dello  spirito  umano  che
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